Gli Ordini della sanità al Governo: “Ci consulti sul Covid e sul Recovery 9 miliardi non bastano. Si utilizzi anche il Mes, quei soldi ci servono”. L’appello al Forum Risk Management di Arezzo
Non hanno dubbi Mangiacavalli (Fnopi), Giustetto (Fnomceo), Beux (Fno Tsrm Pstrp), Vicario (Fnopo), Lazzari (Cnop), Spanò (Onb), Gazzi (Cnoas) e Penocchio (Fnovi), la Consulta per le professioni sanitarie deve essere coinvolta nella gestione del Covid: “È la sede giusta per un confronto con tutte le realtà professionali in prima linea contro l’epidemia”. E poi un appello alla Maggiornaza: “La sanità ha bisogno di risorse per essere in grado di fronteggiare questa e le altre crisi che verranno. I 36 miliardi del Mes ci servono”
La sanità italiana ha bisogno di essere rilanciata. Ma l’obiettivo non è quello di una semplice manutenzione, che continuierebbe a trascinare con sé tutte le debolezze dell’attuale impianto. L’idea è quella di un nuovo modello basato sulla reale consapevolezza che la sanità è un sistema complesso. Un sistema che può funzionare – e quindi essere efficiente – solo se tutte le sue componenti professionali agiscono in una logica di integrazione e multisciplinarità. I presupposti per realizzare questo modello sono due: il riconoscimento della pari dignità di ciascuna professione sanitaria e un finanziamento adeguato. E’ questa, in sintesi, la posizione espressa dai rappresentanti delle professioni sanitarie che hanno partecipato ieri pomeriggio alla tavola rotonda promossa nell’ambito del Forum Risk Management, in corso dal 15 al 18 dicembre ad Arezzo (ma fruibile in modalità virtuale in considerazione dell’emergenza covid).
Alla tavola rotonda, coordinata dal direttore di Quotidiano Sanità Cesare Fassari, hanno partecipato Barbara Mangiacavalli, presidente Fnopi; Guido Giustetto, presidente dell’Omceo Torino e membro del Comitato Centrale della Fnomceo; Alessandro Beux, presidente Fno Tsrm Pstrp; Maria Vicario, presidente Fnopo; David Lazzari, presidente Cnop; Alberto Spanò, consigliere dell’Onb; Gianmario Gazzi, presidente Cnoas e Gaetano Penocchio presidente Fnovi. Alla discussione ha portato il proprio contributo anche Cristina Rinaldi, della Direzione professioni sanitarie del Ministero della Salute, che ha garantito la disponibilità del ministero della Salute a promuovere il dialogo con tutte le componenti attraverso la Consulta delle professioni sanitarie istituita un anno fa dal ministro della Salute proprio sulla spinta di un appello lanciato dal Forum Risk Management del 2019.
Uno degli aspetti evidenziati nel corso della tavola rotonda è stato proprio la necessità di dare alla Consulta un ruolo più incisivo. Barbara Mangiacavalli, aprendo gli interventi, è stata la prima a rilevare come in questo anno di lavoro nell’ambito della Consulta “si poteva fare qualcosa di più”. E per i rappresentati delle professioni sanitarie l’emergenza Covid non può motivare questa carenza di risultati perché, anzi, proprio dalla Consulta potevano arrivare alcune risposte alla gestione della pandemia. E forse proprio il mancato coinvolgimento della Consulta nella gestione del covid testimonia che il mondo delle istituzioni non ha ancora bene compreso l’apporto che i professionisti della salute possono dare alla costruzione di un modello efficiente.
Perché il modello attuale, centrato sugli ospedali e, soprattutto a livello territoriale, sulla figura del medico, ha fallito. A riconoscerlo è stato proprio un rappresentante del mondo medico, Guido Giustetto, che ha citato alcuni dati internazionali per evidenziare che “il 70% di attività di prevenzione potrebbero essere svolte sul territorio da personale non medico, così come il 40% delle attività per l’assistenza ai pazienti cronici”. Per Giustetto c’è un solo modello verso il quale guardare per una sanità efficiente: quello basato su un modo di lavorare “corale”, dove tutti i professionisti della sanità si integrano e interagiscono con un unico obiettivo, che è la salute.
Per il presidente della Fno Tsrm Pstrp, Alessandro Beux, questo traguardo non è semplice se, ancora in questi giorni, i professionisti della sanità hanno dovuto combattere contro il riconoscimento riservato ai soli medici e infermieri negli articoli 73 e 74 della legge di Bilancio. “Dietro a questa esclusione – ha detto Beux – credo ci sia la mancata conoscenza del mondo delle professioni sanitarie da parte del Governo e del Legislatore. Il ruolo dei medici e degli infermieri è imprenscindibile ed inestimabile, ma la sanità è fatta da oltre 20 professioni sanitarie, non da due”. Per questo il presidente della Fno Tsrm Pstrp ha rivolto un apprezzamento all’intervento del presidente dell’Omceo Torino, “che sottolinea come la sanità non possa più essere associata ai soli medici. La sanità è realizzata da tutte le professionisti sanitarie, ciascuna per le sue competenze, in una logica di integrazione”. Per Beux, comunque, questo ultimo anno ha già rappresentato un cambio di passo all’interno delle professioni sanitarie: “Mai come negli ultimi mesi ci siamo confrontati, sul lavoro così come a livello istituzionale”.
Per il presidente del Consiglio nazionale degli Psicologi, David Lazzari, la strada da seguire per costruire un nuovo modello di sanità è quella che sposta l’attenzione dalle competenze all’obiettivo: “Solo guardando nella stessa direzione si possono integrare le competenze, superando la visione a silos”. Per Lazzari, dunque, la Consulta deve stare attenta a non diventare “né una sede burocratica, dove ci si limita a dare un parere su qualche atto, né una sede sindacale, dove ci si assicura che venga dato qualcosa a ciascuno”. Alla politica Lazzari chiede quindi “una visione di lungo periodo”, per un reale rilancio della sanità “sulla spinta dei bisogni e delle debolezze che la pandemia ha mostrato”.
Tra i punti deboli della sanità italiana che l’emergenza ha messo sotto gli occhi di tutti c’è sicuramente la sanità territoriale. Un ambito dell’assistenza trascurato per anni e che, cometa evidenziato la presidente delle Fnopo, Maria Vicario, si è trasformato in un “boomerang” per l’Italia, dal momento che è stato subito evidente come la sanità territoriale avrebbe potuto fare la differenza nella lotta al covid così come nel garantire continuità assistenziale ai cittadini.
Per Alberto Spanò, allora, sarà sulla capacità della Consulta di rappresentare un luogo di confronto tra le professioni sanitarie e le istituzioni, intese come Ministero ma anche come Regioni, che si giocherà “una delle partite più importanti” per il futuro della sanità. Un confronto in cui parlare di “organizzazione sanitaria e di modelli di assistenza”. Facendo comprendere, per prima cosa, alle istituzioni, che “non può esistere un ospedale o un sistema sanitario credibile senza espressione del governo clinico, cioè di quella attività di indirizzo che è propria dei professionisti del settore”. L’Italia, ha contestato Spanò, è “l’unico caso in mondo in cui la sanità è gestita in buona parte da soggetti estranei alle competenze del mondo sanitario”.
Per il presidente dell’Onb è quindi arrivato il momento di “prendere in mano il Dlgs 502 e riscrivere il modello organizzativo del Ssn dandogli una unità strutturale, dotandolo di uguale efficienza in ogni parte del paese, di uguali modelli e tecnologie, caratterizzandolo con la presenza delle professioni sanitarie nella parte direzionale. Perché gli unici a sapere come si governa una situazione clinica complessa sono coloro che di quella complessità fanno realmente parte”.
Anche Gazzi è convinto che “se poniamo la persona al centro del sistema, riusciremo, forse, a superare gli atavici problemi corporativi”. Anche perché, secondo il presidente degli assistenti sociali, la pandemia ha chiaramente mostrato che “serviamo tutti. Nel complesso sistema che è la sanità, così come nella drammatica emergenza assistenziale che è il covid, non c’è professione il cui apporto non sia essenziale”. Il punto, per Gazzi, è che occorre smettere di “dare risposte parziali a problemi complessi. O accettiamo che ciascuno di noi è solo una parte della risposta o continueremo a fare gli stessi errori”. Gazzì ha quindi voluto evidenziare come la salute “non sia solo sanità in senso stretto. È una realtà complessa, di cui avere cura attraverso un sistema integrato”.
Una consapevolezza da rafforzare anche secondo Penocchio, che ha evidenziato come il ruolo dei veterinari sia di grande importanza, perché seppure le loro competenze non agiscano direttamente sul corpo umano, garantiscono la salute animale che, insieme alla salute ambientale, è componente essenziale della salute umana. Il presidente della Fnovi ha poi voluto rimarcare come l’apporto dei veterinari sarebbe potuto essere più incisivo anche nell’ambito della gestione dell’emergenza covid. “Ma non come immaginato dal presidente del Veneto, mettendo i veterinari a fare i tamponi. Bensì rendendosi conto delle competenze e dell’esperienza che i veterinari hanno sul fronte delle infezioni, dell’epidemiologia e delle epidemie, della diagnostica di massa, di come circoscrivere le infezioni e di come effettuare il tracciamento dei casi. Lo dico senza rivendicare nulla”. Ma è evidente, secondo Penocchio, come in Italia manchi ancora una visione di insieme.
La rappresentante del ministero della Salute, Cristina Rinaldi, ha assicurato che dalla pandemia “abbiamo imparato tutti, o meglio abbiamo riscoperto quanto le professioni sanitarie siano importanti. La pandemia ci ha fatto anche riflettere sulla capacità di poter lavorare e sapere lavorare in modo interdisciplinare. E ora dalla pandemia si riparte per realizzare questa interdisciplinarità”.
Certo, non si può passare dalle parole ai fatti senza mettere in campo le giuste risorse. Perché, hanno evidenziato i rappresentati delle professioni sanitarie, le attuali debolezze del Ssn sono anche le conseguenze di oltre dieci anni di tagli. Per questo è unanime “l’amaro in bocca” lasciato dall’annuncio che dei 200 e più miliardi del Recovery Fun solo 9 saranno messi a disposizione della sanità.
Un finanziamento “drammaticamente insufficiente” per Mangiacavalli, Giustetto, Beux, Vicario, Lazzari, Sparò, Gazzi e Penocchio, che lanciano un appello corale al Governo affinché si garantiscano alla sanità risorse ben più consistenti, ad esempio ricorrendo ai 36 miliardi del Mes. “Con 9 mld – ha osservato Spanò – si ottiene al massimo una manutenzione del Ssn, ma non di una semplice manutenzione che la nostra sanità ha bisogno”. Così come “non basta un letto in rianimazione per pensare di avere risolto le carenze assistenziali. Quel posto letto, per funzionare, ha bisogno di professionisti. Il capitale umano è la componente essenziale dell’assistenza sanitaria. Bisogna abbandonare l’idea che l’infrastruttura e la tecnologia siano tutto ciò di cui la nostra sanità ha bisogno”, ha detto Mangiacavalli.
Insomma, che sia con il Recovery Fund, con il Mes o in altro modo, per Mangiacavalli, Giustetto, Beux, Vicario, Lazzari, Sparò, Gazzi e Penocchio “il Ssn va rilanciato” e con esso “va finanziata la formazione e le assunzioni di personale, in tutte le discipline”. Mettendo in chiaro una volta per tutte che “disinvestire in sanità significa essere autolesionisti”.