Nel nostro paese ancora non ci sono state mobilitazioni generali per il grande senso di responsabilità mostrato dagli operatori durante tutto il periodo pandemico. Non ci sono state proteste, ma il malessere sempre più profondo ha trovato altre vie per manifestarsi in tutta la sua dirompenza: fuga dal pubblico verso il privato, emigrazione all’estero e rifiuto di intraprendere le attività mediche più pesanti e rischiose come quelle legate all’urgenza e emergenza. Per questo è irrinviabile una riforma
La presa di posizione della OMS
Dopo anni di politiche orientate alla compressione dei diritti dei lavoratori e di mercificazione del lavoro sanitario, l’OMS ha rotto il silenzio denunciando le drammatiche condizioni in cui i sanitari di tutti i paesi europei si trovano ad operare e di come, senza immediati correttivi, sia reale il rischio di implosione dei sistemi sanitari.
Per fare fronte a tale situazione nel summit co-organizzato da OMS/Europa e Ministero della Salute rumeno nei giorni 22 e 23 aprile è stata firmata nella stessa capitale della Romania la “Carta di Bucarest”.
Un documento di 11 punti, di cui ci ha ampiamente riferito Cesare Fassari su QS, in cui si denunciano le criticità in essere e in cui si invitano gli stati membri ad adottare politiche orientate al raggiungimento dei seguenti obbiettivi:
- migliorare il reclutamento e creare le condizioni per il mantenimento in servizio degli operatori sanitari e assistenziali
- migliorare i meccanismi di offerta di personale sanitario
- ottimizzare le prestazioni del personale sanitario e assistenziale
- pianificare meglio il personale sanitario e assistenziale
- aumentare gli investimenti pubblici nell’istruzione, nello sviluppo e nella protezione della forza lavoro.
La denuncia di JAMA
Quasi in contemporanea su JAMA, la più importante rivista di medicina degli USA, in un editoriale del 24 marzo dal titolo “Burnout, professionalità e qualità dell’assistenza sanitaria statunitense” Dhruv Khullar lanciava un pesante grido di allarme sulla situazione americana.
“Più della metà dei medici statunitensi riporta almeno 1 sintomo di burnout, quasi il doppio del tasso della popolazione attiva in generale, e molti soffrono anche di depressione, ansia o ideazione suicidaria”.
Una condizione di burnout che costerebbe al sistema sanitario almeno 4,6 miliardi di dollari all’anno per gli oneri connessi al maggior turnover e alla riduzione dell’orario di lavoro dei medici di base.
Per l’autore, aldilà di alcuni fattori favorenti di tipo “personale”, tra cui età, sesso, specialità del medico, leadership e cultura sul posto di lavoro sono presenti tre forze di tipo “generale” all’origine del burnout:
1) la pressione derivante dal prendersi cura di troppi pazienti in troppo poco tempo e con troppe poche risorse;
2) la frustrazione di diversi impegnarsi in attività ritenute meccaniche, irrilevanti o controproducenti;
3) l’incapacità di soddisfare le esigenze mediche o sociali dei pazienti.
Ognuno di questi elementi ha come punto di attacco la professionalità dei medici e minaccia la loro capacità di riuscire a fornire cure compassionevoli e di alta qualità
I medici, in altre parole, vivono una condizione di deprivazione motivazionale e di una dolorosa sensazione di inutilità che non ha nulla a che vedere, si badi bene, con aspetti legati alla retribuzione.
È il contesto burocratico/ gestionale sovra-saturo di adempimenti amministrativi e di carichi di lavori incompatibili con una buona pratica clinica e non le questioni economiche che spingono gli operatori in una condizione di grave sofferenza e di disaffezione verso il lavoro.
Un’ondata di scioperi senza precedenti in tutta Europa
La situazione è talmente esplosiva che in ogni stato europeo negli ultimi mesi ci sono state ondate senza precedenti di scioperi del personale sanitario in tutto il vecchio continente.
Nel Regno Unito 100.000 infermieri hanno scioperato scendendo in piazza a gennaio 2023 dopo le analoghe iniziative del mese di dicembre. A marzo è stata la volta dei i cosiddetti Junior doctor delle cure primarie che hanno indetto tre giornate di sciopero.
In Francia i medici ospedalieri hanno scioperato a dicembre 2022 contro la proposta di riforma sanitaria mentre i medici di base sono scesi in piazza a marzo contro l’istituzione del terzo pagante.
In Spagna a febbraio c.a. 250.000 operatori sanitari hanno sfilato a Madrid per protestare contro i tagli alla sanità. In precedenza, erano stati i Medici di base della stessa città a scioperare per ben 4 mesi, ponendo fine alla protesta solo dopo la sottoscrizione di un accordo con la Presidente regionale della città.
In Portogallo lo sciopero dei medici è iniziato il giorno 8 marzo e si è protratta per due giorni per protestare contro i tagli e dal governo e per il rinnovo del contratto.
In Germania lo sciopero della sanità è scattato invece il 14 marzo per il rinnovo del contratto di lavoro e contro una riforma sanitaria che taglierebbe 600 strutture.
La condizione di sofferenza nel nostro paese
Nel nostro paese ancora non ci sono state mobilitazioni generali per il grande senso di responsabilità mostrato dagli operatori durante tutto il periodo pandemico. Non ci sono state proteste, ma il malessere sempre più profondo ha trovato altre vie per manifestarsi in tutta la sua dirompenza: fuga dal pubblico verso il privato, emigrazione all’estero e rifiuto di intraprendere le attività mediche più pesanti e rischiose come quelle legate all’urgenza e emergenza.
In questo quadro falsamente immobile ha fatto grande scalpore la minaccia di 300 medici dei Pronto soccorso toscani dichiaratisi pronti alla dimissione di massa per le condizioni invivibili e pericolose in cui si trovano a operare.
Una condizione di estrema sofferenza che è presente in tutte le strutture sanitarie del paese e che si accompagna all’aumento delle aggressioni da parte di parenti anche essi esasperati dai lunghi tempi di attesa.
Una lunga serie di problemi irrisolti
Il personale sanitario del nostro paese soffre di molteplici contraddizioni che sono sicuramente di tipo economico, considerato il basso livello salariale rispetto agli altri paesi europei, ma soprattutto di ruolo e autonomia nei confronti delle amministrazioni in cui operano.
Un processo di de-professionalizzazione e di perdita di status che nel settore pubblico ha trovato una pesante accentuazione con la riforma Brunetta con cui sono stati aboliti tutti quegli strumenti della concertazione che erano stati il frutto della stagione contrattuale degli anni ‘90.
Alla perdita di potere e di significato delle rappresentanze sindacali ha fatto buona compagnia la marginalizzazione degli operatori in tutti i processi decisionali che riguardano la vita aziendale. Il risultato è esattamente sovrapponibile a quello che Dhruv Khullar ha descritto nel contesto americano. Un paradosso se si considerano le differenze che contraddistinguono i due sistemi sanitari e che pure hanno prodotto un identico risultato.
Le proposte di cambiamento
È evidente come la principale e prima risposta che Governo, Parlamento e Regioni dovrebbero dare per rimotivare professionisti ed operatori della salute sia un forte e discontinuo investimento economico sui loro trattamenti economici in grado di apprezzare e valorizzare realmente il lavoro sanitario e sociosanitario.
Un investimento fondamentale non solo per la tenuta della salute individuale e collettiva ma per lo stesso tessuto economico, sociale e politico dell’intero Paese, come la tragica vicenda della pandemia COVID19 avrebbe dovuto insegnare ai nostri decisori pubblici che purtroppo continuano a mostrare una memoria corta.
Certamente vi è anche la necessita di stabilizzare i precari, rinforzare adeguatamente gli organici, sempre più ridotti e stabilire che l’unica assunzione possibile nel SSN è quella a tempo indeterminato, dipendente o convenzionata che sia, regolata dalla contrattazione collettiva. Definendo anche che qualsiasi altra forma è illegittima perché lesiva della buona organizzazione del lavoro.
Ma vi è diversa e più profonda crisi profonda dei professionisti della salute per il fatto che ormai da decenni subiscono lo svilimento delle loro professionalità, ’autonomia decisionale e capacità di incidere dal basso per creare nuove sinergie indispensabili per trasformare il lavoro individuale in impresa collettiva.
Democratizzare la vita professionale
Per questo riteniamo prioritario che si debba “democratizzare” la vita professionale e di conseguenza l’organizzazione del lavoro all’interno delle Aziende sanitarie superando e riformando profondamente il potere monocratico del Direttore Generale, attraverso forme di partecipazione reali in grado di incidere, proporre, verificare e se del caso correggere le scelte di programmazione e le conseguenti azioni di loro concretizzazione.
Quindi una nuova politica aziendale di condivisione, comprensione, concertazione e perché no cogestione dei professionisti ed operatori della salute da realizzare non solo nelle fasi della contrattazione collettiva aziendale tra parte pubblica e parte sindacale ma anche con la promozione di un nuovo e positivo protagonismo di chi opera in prima linea e nelle retrovie dell’organizzazione del lavoro sanitario e sociosanitario.
Questo si può realizzare riformando e potenziando sia il Consiglio Sanitario Aziendale che i Consigli di Dipartimento e di Distretto elettivi e rappresentativi di tutte le professionalità presenti dando loro poteri reali nelle procedure di programmazione, monitoraggio e verifica delle scelte aziendali, dipartimentali e distrettuali in materia di attuazione del diritto alla salute.
Per garantire realmente lo sviluppo di questo nuovo tessuto democratico e partecipativo aziendale va garantita ai professionisti ed operatori eletti la medesima “non punibilità prevista per i dirigenti sindacali” negli atti esercitati in virtù del loro mandato elettivo, quando esprimono il loro pensiero critico.
Un diverso sistema normativo
Quanto sopra dovrebbe essere la prima pietra di una profonda riforma del personale del SSN, il suo nucleo centrale, costruendo intorno ad esso un nuovo, diverso e discontinuo sistema normativo così articolato:
1) Per il fatto che attua un diritto costituzionalmente garantito il personale del SSN deve divenire una “categoria speciale” che abbia regole proprie, specifiche e diverse dagli altri comparti pubblici tenendo conto anche della sua intrinseca complessità costituita da oltre trenta professioni laureate che vi operano con loro riconosciuta autonomia e competenza professionali.
2) Vanno considerati gli esercenti le professioni mediche, sanitarie e sociosanitarie in rapporto di lavoro con il SSN, parte integrante del processo di programmazione, organizzazione, monitoraggio, verifica e conseguente rimodulazione delle scelte di politica della salute e delle linee di produzione delle stesse in tutti i livelli del SSN stesso, nazionale, regionale e aziendale. Un percorso da realizzare attraverso innovative modalità di effettiva partecipazione che garantisca la concertazione, la comprensione, la condivisione e la cogestione, assicurando anche il diritto alla critica e al dissenso, motivato scientificamente e professionalmente.
3) Le modalità innovative di partecipazione non potranno che essere sia garantite alle rappresentanze sindacali ma anche, a livello aziendale, esercitate dagli stessi professionisti sia riformando democraticamente il Consiglio dei Sanitari che i Consigli di Dipartimento e di Distretto in modo di assicurare la massima partecipazione e garanzia alla critica propositiva, il che significa negare il ruolo monocratico e talora autocratico del Direttore Generale. In tale prospettiva la revisione della governance aziendale con la istituzione di un “consiglio di indirizzo” plurale con reali poteri non solo organismo consultivo può rappresentare uno strumento indispensabile per una gestione aperta al contributo di altri attori sociali.
4) Il Lavoro medico, sanitario e sociosanitario si dovrebbe espletare garantendo e valorizzando al massimo la sua potenzialità, autonomia e capacità intrinseche e proprie del proprio sapere ed agire professionale riducendo al massimo adempimenti non sanitari che potrebbero rientrare nelle competenze di quei professionisti che rivestano incarichi gestionali/apicali o, se di minor rilievo, formando uno specifico profilo di segretario sanitario/clinico sulla base di esperienze europee evolvendo da una parte il segretario di studio di MG o di segretario di reparto ospedaliero, nelle poche, purtroppo, esperienze in essere. Si tratta in altre parole di favorire quel general intellect e quelle capacità inespresse e spesso soffocate dei professionisti da cui nasce cambiamento e qualità delle relazioni.
5) Il rapporto di lavoro del medico come degli altri professionisti della salute, aldilà della sua denominazione giuridica se dipendente o convenzionato, dovrebbe essere per obiettivi di “salute” concordati, monitorati e verificati con la conseguente individuazione di una parte della remunerazione legata al loro raggiungimento, ovviamente tenendo conto delle situazioni avverse che non abbiano consentito oggettivamente il pieno raggiungimento (sottorganico, minore dotazione strumentali, eventi pandemici…). In tale prospettiva da superare il concetto prestazione di lavoro condizionata all’orario di lavoro, come è proprio in ogni rapporto di lavoro sia dirigenziale ma anche professionale, fermo restando la retribuzione distinta per le guardie, la reperibilità, il lavoro notturno e festivo.
Una riforma del rapporto di lavoro per una effettiva tutela della salute
E’ una profonda riforma che rende il rapporto di lavoro in grado di esaltare e apprezzare l’essere un professionista non solo nella sua accezione di professione intellettuale e liberale ma di implementare l’intrinsecità e la specificità del tempo di lavoro medico e del professionista della salute con l’unico obiettivo: garantire e rendere la migliore prestazione professionale in scienza e coscienza per la tutela della salute nella prevenzione, nella diagnosi, nella cura e nella riabilitazione.
La specialità della categoria del personale del SSN prevederebbe anche la riformulazione della sua contrattazione prevedendo un “contratto quadro unitario e unificante di filiera” dell’insieme del personale che opera nel SSN, inteso sia quello dipendente delle Aziende Sanitarie Pubbliche ma anche quello dell’insieme degli enti accreditati sanitari e sociosanitari, finanziato anche dal FSN.
Questa novità avrebbe un duplice l’obiettivo da perseguire: il primo contrattuale quello di omogeneizzare i trattamenti del personale nel pubblico e nel privato accreditato, favorendo anche la maggiore unificazione possibile dell’attuale molteplicità dei contratti in quest’ultimo settore; il secondo, strategico, di far partecipare le rappresentanze sindacali nella fase di costruzione del Patto della Salute tra Stato e Regioni nella programmazione, nell’elaborazione delle scelte ma anche nel monitoraggio e nella verifica delle stesse favorendo quindi il protagonismo positivo dei professionisti produttori di salute nelle concertazione, nella comprensione e nella condivisione delle politiche per la salute: quindi un contratto quale strumento attuativo delle scelte programmatorie in sanità; da questo nuovo contratto quadro della filiera sanitaria e sociosanitaria si passerebbe alla negoziazione degli specifici settori: SSN, ospedalità accreditata, terzo settore, RSA, ecc.
Per quanto riguarda il personale “pubblico” del SSN con le innovative e discontinue caratteristiche del rapporto di lavoro medico e del professionista della salute sopra descritte non avrebbe più ragione di esistere la differenza tra le attuali normative del lavoro dipendente e di quello del lavoro parasubordinato o convenzionato che dir si voglia, si potrebbe, quindi, ipotizzare un contratto unitario del rapporto di lavoro medico nel comparto pubblico del SSN sia per l’attuale dirigenza medica che per gli AA.CC.NN. della medicina generale, della pediatria di libera scelta e della specialistica ambulatoriale o, se questo non potesse essere possibile mantenere i diversi e preesistenti modelli di contrattazione per la dipendenza e per la convenzionata, però inseriti e derivanti dalle impostazioni e indirizzi del “contratto quadro unitario e unificante di filiera”.
Il ruolo del Ministero della Salute e degli operatori del SSN
Questa riforma proposta della contrattazione presupporrebbe che il Ministero della Salute svolga un ruolo da protagonista anche di regista, allentando e superando la subalternità con il MEF, sia nella fase del “contratto quadro unitario e unificante di filiera” che nei successivi contratti di settore pubblico e privato accreditato, avvalendosi o delle capacità tecniche negoziali integrate sia di ARAN che di SISAC oppure dotarsi di una nuova struttura tecnica per la gestione delle procedure e delle fasi contrattuali.
Certamente questo processo riformatore presuppone altre sue articolazioni che indichiamo per sintesi avendo più volte scritto su questo quotidiano:
- ribadire che il SSN oltre prevenzione, cura e riabilitazione svolge attività di ricerca sanitarie e di didattica per i professionisti della salute e pertanto partecipa, con pari dignità con gli Atenei, nella formazione universitaria dei medici e degli altri professionisti sanitari;
- va riformato lo status giuridico ed economico dello specializzando medico e delle altre professioni sanitarie prevendo in sostituzione delle borse di studio un vero e proprio rapporto di lavoro dipendente a tempo determinato di formazione-lavoro regolato da una specifica sezione nel CCNL della dirigenza medica e sanitaria, con la progressiva attribuzione di autonomia professionale in relazione alla verifica positiva delle competenze acquisite, snellendo le successive procedure concorsuali per il passaggio a tempo indeterminato per lo specialista che voglia rimanere nel SSN;
- omogeneizzare la normativa per quanto riguarda gli incarichi, l’esclusività del rapporto di lavoro e l’esercizio della libera professionale tra le professioni della dirigenza sanitaria e le professioni sanitarie di cui alla legge 251/00 prevedendo per esse il riordino della formazione universitaria istituendo nei corsi di laurea magistrale anche indirizzi specialistici:
- riformare la formazione e lo status normativo dell’operatore sociosanitario restituendo al SSN la titolarità della formazione e prevedendo la possibilità che possa acquisire ulteriori competenze assistenziali avanzate, concordate e condivise con le rappresentanze professionali interessate, sino alla costituzione di un nuovo profilo professionale di cooperatore sociosanitario, di assistente alla salute, di aiuto-infermiere, come si voglia definire il cosiddetto “Ugo” e che sia in grado di collaborare con gli infermieri e gli altri professionisti della salute, non essere di supporto a loro, perché in sanità nessuno è di supporto a qualcuno bensì ognuno collabora con le proprie competenze e con i propri saperi alla tutela della salute individuale e collettiva.
Roberto Polillo e Saverio Proia