CALABRIA:Consulta boccia legge Calabria: “Consiglio regionale non può legiferare su materie di competenza Commissario ad acta”. Incostituzionali anche incarichi troppo lunghi ai Commissari Asl
FONTE QUOTIDIANO SANITA’
La legge era stata impugnata dal Governo. Tra le norme cassate dalla Corte quella sull’istituzione dei servizi delle professioni sanitarie infermieristiche, ostetriche, riabilitative, tecnico sanitarie, tecniche della prevenzione e delle professioni sociali. Bocciata anche la norma che prolungava da 6 a 12 mesi (rinnovabili) gli incarichi dei Commissari straordinari delle Asl calabresi. Per la Corte commissaramenti troppo lunghi si configurano come gestione ordinaria e quindi sono incostituzionali. LA SENTENZA.
Le prescrizioni contenute nell’art. 1, comma 1, lett. b) e lett. c) e nell’art. 3 della legge Regionale n. 11 del 20 aprile 2016, recante «istituzione dei servizi delle professioni sanitarie infermieristiche, ostetriche, riabilitative, tecnico sanitarie, tecniche della prevenzione e delle professioni sociali – modifiche alla legge regionale 7 agosto 2002, n. 29» “eccedono dalle competenze regionali e sono violative di previsioni costituzionali e illegittimamente invasive delle competenze dello Stato; la legge deve pertanto essere impugnata in parte qua, come con il presente atto effettivamente la si impugna, affinché ne sia dichiarata la illegittimità costituzionale, con conseguente annullamento”.
Così la Consulta ha bocciato la legge della Calabria, impugnata dal Governo perché potrebbe interferire con i poteri del commissario ad acta nominato in materia di Sanità.
I giudici della Consulta hanno dichiarato l’illegittimità costituzionale anche della lettera d) dello stesso articolo di legge limitatamente all’inciso “definendone gli aspetti organizzativi, gestionali e dirigenziali”. Dopo avere rilevato “la tardività della costituzione della Regione Calabria, avvenuta il 9 settembre 2016”, i giudici sostengono che “sono vincolanti, per le Regioni che li abbiano sottoscritti, gli accordi previsti dalla legge 30 dicembre 2004, n. 311 finalizzati al contenimento della spesa sanitaria e al ripianamento dei debiti”.
I giudici delle leggi ricordano nella sentenza che il mandato commissariale del 12 marzo 2015 affida al Commissario ad acta, al punto 4), tra le azioni e gli interventi prioritari, “l’adozione del provvedimento di riassetto della rete di assistenza territoriale, in coerenza con quanto specificamente previsto da patto per la salute 2014-2016”, e al punto 1), “l’adozione del provvedimento di riassetto della rete ospedaliera, coerentemente con il Regolamento sugli standard ospedalieri di cui all’intesa Stato-Regioni del 5 agosto 2014 e con i pareri resi dai ministeri affiancanti, e le indicazioni formulate dai Tavoli tecnici di verifica”.
La Consulta inserisce quindi in questo contesto la legge regionale n. 11/2016, con la quale la Regione, modificando la legge regionale 7 agosto 2002, n. 29, regolamenta i servizi delle professioni sanitarie infermieristiche, ostetriche, riabilitative tecnico sanitarie, le tecniche della prevenzione e delle professioni sociali. La norma regionale prende formalmente atto di quanto disposto dal Commissario ad acta con il decreto n. 130 del 16 dicembre 2015: ma in realtà si discosta da esso in maniera sostanziale. La legge autorizza infatti il Consiglio regionale della Calabria, relativamente all’organizzazione dell’attività assistenziale, a istituire il Servizio delle professioni sanitarie (SPS) (lett. b) dell’art. 1 della legge oggi impugnata), e (art. 1, lett. c), il Servizio sociale professionale (SSP) in tutte le Aziende sanitarie provinciali, ospedaliere, universitarie e presso il dipartimento Tutela della Salute della Regione Calabria, in contrasto con le disposizioni del decreto commissariale n. 130 del 16 dicembre 2015 che ha fornito alle Aziende del Servizio sanitario della Regione Calabria criteri condivisi per l’adozione dei singoli atti aziendali, nell’ambito dei quali esercitare la propria autonomia organizzativa, in quanto direttamente istitutive dei Servizi, “sostanzialmente avocandosi al Consiglio regionale una competenza propria delle Aziende sanitarie il cui esercizio avrebbe dovuto invece essere vagliato dalla struttura commissariale”. Da questo secondo i giudici discende la incostituzionalità della legge regionale.
Secondo la Corte “la semplice interferenza da parte del legislatore regionale con le funzioni del Commissario ad acta, come definite nel mandato commissariale, determina di per se la violazione dell’art. 120, secondo comma, Cost. (sentenza n. 28 del 2013; nello stesso senso, sentenza n. 2 del 2010); e in particolare, “ogni intervento che possa aggravare il disavanzo sanitario regionale “avrebbe l’effetto di ostacolare l’attuazione del piano di rientro e, quindi, l’esecuzione del mandato commissariale […]” (sentenza n. 18 del 2013; nello stesso senso, sentenza n. 131 del 2012)”.
E della stessa legge la Consulta ha dichiarato incostituzionale anche l’articolo 3 nel momento in cui modifica da sei a dodici mesi (rinnovabili) la nomina dei Commissari nelle Aziende Sanitarie e ospedaliere, mentre la legge prevede che “per esigenze di carattere straordinario possono essere nominati dalla Giunta Commissari nelle Aziende sanitarie e in quelle Ospedaliere preferibilmente scelti tra i dirigenti in servizio della Pubblica amministrazione e di enti privati di media e grande dimensione con almeno cinque anni di anzianità svolta con autonomia gestionale e di risorse, per un periodo di sei mesi eventualmente rinnovabile per una sola volta fino a un massimo di sei mesi».
“Tale consistente ampliamento – scrivono i giudici – contrasta con il carattere temporaneo che propriamente caratterizza la gestione commissariale. In via generale, infatti, il Commissario straordinario regionale viene nominato nelle Aziende sanitarie e in quelle ospedaliere per ragioni del tutto eccezionali (ad es. per decadenza), e con una durata ben limitata”.
Un ampiamento così consistente rischia, secondo la Consulta, “di costituire di fatto una sorta di gestione ordinaria: …essa rientrerebbe però nella competenza propria del Direttore generale, il quale deve essere in possesso dei requisiti previsti dall’art. 3-bis del decreto legislativo n. 502/1992, e, in particolare, di quelli menzionati al comma 3”.
I giudici ritengono quindi che un conferimento commissariale quale quello previsto dalla disposizione regionale, finirebbe con l’assumere, di fatto, una connotazione di gestione ordinaria, escludendo le procedure di nomina “di cui al richiamato art. 3-bis”.
Quindi la diposizione regionale contrasta con i principi fondamentali della legislazione statale in materia di tutela della salute, viola l’art. 117, terzo comma, della Costituzione e per questo deve essere dichiarato incostituzionale.
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