Coronavirus, Anelli (Fnomceo): manager vicini alla gente e piano Marshall per il Sud per la sanità del “dopo”
Contrarre i poteri delle giunte regionali e mettere una pietra sopra l’esperienza federalista. E’ una delle proposte per la sanità del dopo coronavirus, in tempo di ragionamenti sui fallimenti, di regioni nel mirino mediatico per i morti nelle case di riposo, di rimpalli tra stato e regioni sulle “zone rosse” dichiarate in ritardo o sulle mascherine che continuano a mancare. Pur critico sulle conseguenze delle scelte di alcune regioni (il peso del privato in Lombardia non pare esser stato di alcun aiuto nella lotta al Covid) il presidente Fnomceo Filippo Anelli piuttosto che all’unità nazionale si richiama alla solidarietà. «Non si può pensare di vincere gli uni a scapito degli altri, in una guerra tra poveri basata sulla competizione tra Regioni, sul principio ‘mors tua vita mea’. Così perdiamo tutti: perdono le regioni del Nord, che non imparano dai propri errori e quelle del Sud, che non comprendono come questo approccio utilitaristico sia all’origine degli squilibri», scrive Anelli. Parole che testimoniano l’esplosione in queste settimane di una vera competizione tra amministrazioni, senza esclusione di colpi. Fernanda Gellona di Confindustria Dispositivi Medici ha raccontato nella conferenza video degli ingegneri clinici AIIC della concorrenza spietata tra regioni per accaparrarsi DPI, «dalli a me non darli a loro». Si ricorderà l’ordinanza pugliese per bloccare la commessa del Veneto ad una ditta di Modugno di due macchinari per fabbricare reagenti per tamponi (la Puglia ne chiede uno per sé). I medici radiologi del sindacato Snr, parlando delle Ats che non seguono le direttive del governo di sottoporre ai tamponi i lavoratori con febbre e i loro contatti, sottolineano che «21 sistemi con 21 orientamenti politici diversi hanno dimostrato tutta la loro dannosità», e l’inadeguatezza di uno stato «che avrebbe dovuto fornire indicazioni e linee guida univoche». Il sociologo Ivan Cavicchi si chiede dalle pagine di Quotidiano Sanità se alla sanità italiana convenga il ritorno alla normalità o non sia meglio “approfittare del coronavirus per voltare pagina”. Anelli non risparmia né regioni né governo. «La mancanza di solidarietà ha contraddistinto tutti i livelli istituzionali (e in qualche caso i comportamenti della popolazione, quest’ultima però comprensibilmente spaventata). E’ figlia di tempi in cui la sanità è stata gestita come un feudo della politica, una macchina amministrativa anziché al servizio delle persone».
E’ questa la mentalità da cambiare. Non solo in Italia. Decenni di scelte economicistiche hanno presentato il conto in Spagna, Gran Bretagna, altre grandi sanità pubbliche. «Dovremmo ragionare su un modello di gestione che tenga nel Servizio sanitario sia l’esigenza di colmare le diseguaglianze sia il bisogno di una maggiore partecipazione dei cittadini. Occorre legare il Ssn alle esigenze della gente e dei malati e staccarlo dalla politica», spiega Anelli a DoctorNews. Certo, il regionalismo “egoista” non semplifica l’accesso alle cure. «I burocrati hanno trasformato la sanità in un ingranaggio dell’apparato statale. Anche a livello regionale si è visto lo stesso processo. L’AIFA dice che l’idrossiclorochina si può usare a casa con i pazienti Covid-19? Bene, una regione la rende prescrivibile solo su prescrizione specialistica, un’altra chiede il piano terapeutico specialistico vincolante per il medico di famiglia, una terza mette specialista e medico di famiglia sullo stesso piano, una quarta la dichiara somministrabile a domicilio in assistenza integrata, una quinta impone al mmg di prescrivere su modulo AIFA. L’esigenza di curare in modo rapido ed efficace si trasforma in iper-burocratizzazione. C’è bisogno di unificare, di semplificare, la malattia è la stessa per tutti. E poi, c’è troppa politica nella gestione della sanità. I manager sanitari rispondono al governatore regionale. Per essere più vicini alla gente, sarebbe meglio cambiare i criteri di scelta: il manager dovrebbe essere un professionista, un sanitario vicino ai bisogni dei concittadini e dei malati, scelto e giudicato da loro, capace di prendere decisioni sulla base di obiettivi condivisi. La legge 833 aveva intuito questo bisogno, ma poi nei meccanismi di nomina dei comitati di gestione e dei CdA assunsero peso crescente i sindaci, la politica, e il tentativo di avvicinare le scelte sulla salute alle persone, fallì. E’ tempo di rivedere l’esperienza successiva, che sta dimostrando i suoi limiti».
Anelli propone per il Sud un “piano Marshall”. «In concreto, sarebbe bello vedere la Calabria rispettare tutti gli standard di cura, regioni come Emilia Romagna e Puglia avere gli stessi standard (la prima ha oggi 20 mila sanitari in più), senza nulla togliere all’Emilia Romagna. Finché sussiste la necessità di risparmiare, le regioni non saranno sullo stesso piano e non ci sarà unità di intenti». Servono miliardi, ma se arrivassero «ormai è improponibile investirli per raddoppiare gli ospedali (o le convenzioni con i privati, tema dibattuto in Puglia); urge piuttosto potenziare la medicina territoriale. Non è difficile, si pensi alle risposte che stiamo cercando: una medicina generale che offra l’ecografia o l’esame del sangue in studio, che produca dati omogenei e subito leggibili in ospedale in caso di ricovero, professionisti sanitari che parlano la stessa lingua. La prima cosa da superare, come ci insegna questa emergenza che ci ha avvicinati tutti ai pazienti e ai cittadini, è la guerra tra professioni. Penso siamo maturi per dedicarci insieme a dare valore al nostro comune prodotto, che è la salute».