Coronavirus. “C’è ancora una scarsa percezione del rischio. Se non capiamo che le regole vanno rispettate potremmo essere costretti ad estendere le misure più drastiche a tutta Italia”. Intervista a Walter Ricciardi (Oms)
“L’obiettivo è il distanziamento sociale e lo possiamo ottenere: o con modalità ‘democratiche’, e quindi con persuasione e senso di responsabilità; o con il ricorso massiccio alle forze dell’ordine. Potremo mitigare le misure di contenimento solo dopo aver fatto abbassare l’indice del livello di diffusione del virus, che deve scendere a un R0 inferiore a 1 (oggi è in alcune zone siamo su valori superiori a 2)”. E sul triage di “guerra” degli anestesisiti dice: “Valutazioni che non vorremmo mai fare. Allo stesso tempo è comprensibile che gli anestesisti-rianimatori prevedano tutte le ipotesi e gli scenari possibili”
“Dopo quanto successo nelle ultime 48 ore, con spostamenti incredibili di persone dalla ‘Fascia 1’ – ed anche per via della scarsa percezione del rischio registrata in tutta Italia – stiamo prendendo in seria considerazione l’ipotesi di un allargamento delle misure su scala nazionale”. L’intera Italia potrebbe diventare area a ‘contenimento rafforzato’ come oggi sono la Lombardia e le 14 province in Piemonte, Veneto, Emilia Romagna e Marche. E inoltre, se le regole per il contenimento dei contagi non dovessero essere rispettate, “la fase successiva potrà prendere in considerazione una applicazione più cogente di queste regole con un intervento più esteso delle forze dell’ordine”.
Questa la situazione delineata da Walter Ricciardi, membro italiano del Consiglio Esecutivo dell’Organizzazione mondiale della Sanità e consigliere del ministro della Salute Roberto Speranza che in questa intervista esclusiva disegna quali potrebbe essere gli scenari prossimi futuri dell’epidemia in corso in Italia.
Professor Ricciardi, cosa ci si aspetta da queste nuove misure?
Ci aspettiamo che rallentino la crescita nelle zone di ‘Fascia 1’, quindi sostanzialmente quelle dell’Italia Centro Settentrionale principalmente interessate dal Dpcm, e si eviti l’allargamento dell’epidemia al resto del paese.
Ormai l’intero Paese è a rischio, ogni regione ha un gruppo di persone positive. Non si sarebbero ottenuti risultati più incivisi applicando da subito le stesse regole a tutto il Paese invece di dividere, di fatto, l’Italia in due?
Diciamo che nel paese la situazione epidemiologica è ancora differente. Devo però dire che quanto è successo nelle ultime 48 ore, con spostamenti incredibili di persone dalla ‘Fascia 1’ – ed anche per via della scarsa percezione del rischio registrata in tutta Italia – stiamo prendendo in seria considerazione l’ipotesi di un allargamento delle misure su scala nazionale.
Nella direttiva del ministro dell’Interno si spiega che le persone potranno continuare a spostarsi sul territorio nazionale per esigenze di lavoro, necessità o salute, compilando un modulo di certificazione. Non sarebbe stato meglio bloccare i trasporti delle persone?
Diciamo che l’obiettivo principale era il cosiddetto distanziamento sociale più che il blocco della circolazione. Questo distanziamento sociale si può ottenere sostanzialmente in due modi: attraverso modalità ‘democratiche’, e quindi basandosi sulla persuasione e sul senso di responsabilità delle persone; oppure attraverso un ricorso più esteso alle forze dell’ordine per imporre il rispetto delle misure. Ora siamo in una fase nella quale ci stiamo basando sul primo approccio. È però chiaro che se questa modalità non funziona, la fase successiva dovrà prendere in considerazione una applicazione più cogente di queste regole.
Sapppiamo che le nuove misure non si applicano sul trasporto merci e l’e-commerce è sempre più utilizzato. È sicuro ritirare pacchi spediti da zone a rischio?
Fino a questo momento non c’è nessuna evidenza scientifica che dimostri una possibile trasmissione del virus attraverso merci. Questo è stato ribadito formalmente anche dall’Oms e dall’Ecdc. In questo momento, la via di trasmissione sulla quale dobbiamo intervenire con misure di prevenzione è quella respiratoria, quella che si ha con un contatto diretto. Naturalmente siamo pronti a rivedere il tutto nel momento in cui emergessero nuove evidenze.
Oggi Giorgio Parisi spiegava come, a questo ritmo e senza rallentamenti, in meno di 5 settimane tutti gli italiani potrebbero essere positivi…
Si tratta di uno scenario molto forte basato su modelli matematici che non deve essere trascurato, data l’autorevole fonte da cui proviene. Il presidente dell’Accademia dei Lincei è uno dei fisici più prestigiosi al mondo, quindi non dobbiamo assolutamente sottovalutare questo suo lavoro. Dobbiamo però tenere presente che molto spesso i virus sono più mutevoli e ‘inaffidabili’ rispetto a quanto si può prevedere con un modello matematico, sia in senso positivo che negativo. Ricordo i modelli matematici che vennero fatti nel 2009, durante la pandemia influenzale. Erano terrificanti, non ci dormivamo la notte. Fortunatamente poi nessuno di quegli scenari apocalittici si è verificato, sia perché ci fu una risposta forte di contenimento, sia perché si verificò un affievolimento del virus. Sono dunque tutte ipotesi che devono essere vagliate e prese in considerazione, ma le decisioni devono essere poi prese alla giornata. È una battaglia, e come tutti i Generali sanno, oltre agli aspetti teorici, ci sono poi altri aspetti operativi che vanno presi sul campo.
E allora quali sono gli scenari che dovrebbero verificarsi per poter pensare ad una mitigazione delle nuove misure di contenimento?
Dovrebbero verificarsi degli scenari di appiattimento e poi diminuzione della curva epidemica che, anche se è presto per dirlo, sembrerebbe si inizi a vedere in quelle che erano le vecchie ‘zone rosse’. Si tratta di dati che si stanno ancora consolidando. Sembra che lì le misure prese abbiano appiattito e fatto scendere la curva epidemica al di sotto dell’uno, il che si traduce in una maggiore difficoltà di trasmissione da parte dell’infezione. E questo è quello che dovremmo fare in tutta Italia con dei meccanismi di contenimento che facciano abbassare il valore R0 (erre con zero), ovvero il numero di persone che, in media, ogni individuo infetto arriva a contagiare: se quella cifra è inferiore a 1, la diffusione si arresta, ma oggi in alcune zone del Paese siamo ancora su valori superiori a 2.
Il federalismo in sanità rischia di essere dannoso in presenza di emergenze sanitarie come quelal che stiamo vivendo?
Ho sempre detto che, in caso di epidemia, ci vuole una linea unica di comando e di comunicazione. In questo caso smarcarsi è impossibile perché il decreto è nazionale ed è stato elaborato sulla base di criteri scientifici estremamente rigorosi. I criteri che sono stati presi in considerazione sono: incidenza cumulativa, circolazione autoctona e vulnerabilità geografica. Si tratta di dati oggettivi, non c’è quindi possibilità in questa fase di deroga, a meno che non emergano modifiche su quelle evidenze.
Diverse Regioni hanno emanato ordinanze per la segnalazione e la messa in quarantena delle persone che si stanno spostando da zone a rischio. È una corretta forma di precauzione?
Tutte queste sono state superate dall’ordinanza della Protezione civile di ieri sera. Anche se questo non è ancora chiaro, esiste un’unica ordinanza a livello nazionale cui tutte le regioni devono fare riferimento.
Negli scorsi giorni i presidenti di Lazio e Piemonte, Zingaretti e Cirio, sono risultati positivi al coronavirus. Anche se negativa ai tamponi, l’intera Giunta non dovrebbe mettersi in isolamento per 14 giorni in via precauzionale?
Tutte le persone che sono state in contatto stretto con un soggetto positivo sono tenute ad autoisolarsi.
È possibile che l’Oms stia attenzionando l’Italia per possibili interventi diretti visto il crescente numero di contagi e decessi?
No, anzi proprio ieri l’Oms ha fatto i complimenti all’Italia per le misure eccenzionali, coraggiose e tempestive prese. Seguiamo costantemente sia con loro che con l’Ecdc lo sviluppo quotidiano della situazione. C’è stato da subito uno scambio di informazioni costante. L’Oms si è anche complimentata pubblicamente più volte con l’Italia per come sta gestendo questa situazione.
Cosa ne pensa del documento redatto dagli anestesisti-rianimatori sui criteri di selezione per l’accesso alle terapie intensive?
Si tratta di valutazioni che non vorremmo mai fare. Allo stesso tempo è comprensibile che gli anestesisti-rianimatori prevedano tutte le ipotesi e gli scenari possibili. Noi sappiamo bene che le decisioni in caso di guerra sono diverse dalle decisioni in caso di pace. Dobbiamo capire che in determinate situazioni, fortunatamente ancora isolate, ci troviamo già in condizioni di forte difficoltà. Bisogna quindi comprendere le finalità di una società scientifica come la Siaarti nel dare indicazioni concrete ai propri anestesisti in maniera tale che non si trovino abbandonati a se stessi nel momento del bisogno.