Coronavirus, ecco come sono organizzate le Usca. Il problema del personale carente
Altro che controllare il coronavirus; scarsità di personale e norme regionali farraginose sulle Unità speciali di continuità assistenziale rischiano di favorirne l’esplosione. Ogni Usca dovrebbe essere formata da almeno due medici o da medico-infermiere. Non sempre lo è, come testimonia il caso mediatico del giovane medico che dopo la visita a casa all’anziana malata si sveste nel ballatoio condominiale e torna indietro in taxi. «Sulle Usca arrivano notizie da diverse parti d’Italia che fanno rabbrividire», scrive sui social il tesoriere del Sindacato Medici Italiani Franco Fontana. «Regioni in cui le Usca condividono la stessa sede della Continuità assistenziale, altre in cui pretendono che il medico faccia da solo. Pensano che la svestizione dai dpi la faccia una sola persona? O nello stesso locale dove soggiorna un medico di continuità assistenziale?» Fontana invita i colleghi rappresentanti sindacali ad intervenire ove sia messa in pericolo l’incolumità dei sanitari dedicati. Ricorda il segretario Smi Lombardia Enzo Scafuro: «Sulla delibera istitutiva n°2986 del 23-03-2020 e la successiva circolare avevamo inviato una nota alla Regione per evitare che le Usca essendo definite “unità” potessero essere costituite da un “singolo medico». Per Scafuro, «o le Usca si progettano per un’assistenza complessa, due operatori che si vestono e svestono uno di fronte all’altro in aree dedicate, viaggiano in mezzi di trasporto sanificati (non il taxi!), o il rischio supera il beneficio». Già il decreto legge nazionale istitutivo del 9 marzo sembra avere delle pecche quando indica che ogni Usca, nata per sgravare in un bacino di 50 mila abitanti il Mmg, il pediatra e il medico di continuità assistenziale da compiti non ordinari, faccia capo alle sedi di guardia medica esistenti. «Le regioni erano chiamate a realizzare il decreto entro il 20 marzo scorso, ma la fretta non aiuta la qualità delle delibere», dice Scafuro. «Inoltre, per noi all’équipe andrebbero aggregati specialisti, si pensi al ruolo del cardiologo nell’inquadrare il rischio collaterale della clorochina da taluni suggerita per il paziente Covid-19 a casa. O allo psicologo».
Il problema di fondo è il personale. Non è infinito. Il decreto legge dice chiaro che l’Usca è costituita da un numero di medici pari a quelli già presenti nella sede di continuità assistenziale scelta. Non sono gli stessi medici ma tra i medici Usca vi possono essere ugualmente titolari o supplenti di CA, tirocinanti del triennio in medicina generale o, invia residuale, neoabilitati. E devono garantire copertura 8-20 sette giorni su sette, con compenso lordo di 40 euro ad ora. «Ogni regione si è organizzata come poteva in carenza di personale -dice Giovanni Senese responsabile continuità assistenziale Smi -in Campania, Basilicata e Lazio abbiamo chiesto una composizione di due medici ed un infermiere per turno. Il medico non può andare da solo: il rischio non è il contagio dal paziente a casa, ma il virus che puoi liberare quando ti svesti sul pianerottolo, o non ti vesti secondo le procedure adeguate e nessuno ti controlla. La svestizione dovrebbe inoltre avvenire in aree adeguate, servono training appositi. E il personale che visita non deve essere lo stesso che fa attività ordinaria di guardia medica. Come Smi sottolineiamo che dovrebbe afferire a sedi diverse da quelle della continuità assistenziale, ad esempio le sedi del 118 dove ci sono elementi omogenei come la sanificazione del mezzo di trasporto dopo ogni viaggio per accesso a casa di paziente Covid-19». Si dovrebbe sanificare dopo ogni accesso, dettaglia Senese. «Posto che gli accessi a casa dei sospetti per il primo tampone spettano all’unità operativa di prevenzione Asl, al sanitario Usca spetta il monitoraggio a casa di soggetti positivi ai quali va eseguito 2° o 3° tampone o provare i parametri per eventualmente ricoverare. Anche abitassero nello stesso condominio, tra due pazienti di questo tipo è bene mettere un viaggio di ritorno in centrale e una decontaminazione e sanificazione del mezzo, per non portare il virus in giro. Abbiamo sostenuto questa posizione nei comitati regionali e provinciali. Una terza via non c’è. Occorre istituire ex novo queste unità con fondi ad hoc. Qualche sindacato vorrebbe trovare per la continuità assistenziale una nuova collocazione come Usca del domani: una soluzione irricevibile. La continuità assistenziale ha tante chiamate, l’Usca ha accessi impegnativi con equipaggiamento protettivo specifico. Con eventuali “doppi lavori” il rischio è, oltre a contagiarsi, portare il contagio ai pazienti cronici, e ai colleghi del turno di continuità assistenziale che dovranno mettersi a loro volta in quarantena per evitare un disastro che vanificherebbe i risultati ottenuti con il lock-down. Inoltre -conclude Senese -si andrebbe in contrasto con la Legge Balduzzi in base alla quale, alla luce del Ruolo Unico, la CA confluisce a pieno titolo nell’Assistenza Primaria dando spazio al ruolo unico nelle istituende aggregazioni funzionali territoriali al momento formate dai soli medici di assistenza primaria in dispregio alla legge».