Covid. Parità di trattamento per tutti i professionisti sanitari
Gentile Direttore,
il Covid-19 ha messo in evidenza una nazione non proprio al passo con i tempi in termini di adattamento degli strumenti tecnologici ai contesti di vita quotidiana: il nostro SSN è stato messo a dura prova e diciamoci la verità non è stato proprio prontissimo. I motivi principali sono da ricercare in una errata pianificazione, intesa come strumento per lo studio sistematico del futuro, e nella poca elasticità aziendale intesa come capacità di adattarsi velocemente,a costi contenuti a determinate condizioni esterne: a salvarci è stata la grande abnegazione di tutti gli operatori sanitari.
Ma cosa non ha funzionato nella Pianificazione e elasticità aziendale del SSN? Probabilmente entrambe sono state troppo spesso condizionate da un sistema rappresentativo mirato a salvaguardare i confini della propria professione: un modus operandi dal grande impatto politico.
L’ultimo enunciato trova ancoraggio in alcune vicende che sono accadute proprio in questa finestra temporale evidenziando tra le professioni sanitarie un incoerente rappresentanza politica fatta di subordine e palese discriminazione, ma soprattutto l’evidenza che chi ci governa non conosce chi sono e a che livello sono collocate le 30 professioni sanitarie che operano oggi nel nostro SSN.
Vorrei portare la riflessione su tre provvedimenti normativi che rappresentano l’incoerente modo di fare politica: il DL Cura Italia (Fondo di solidarietà);il DL Rilancio (bonus 50 crediti ECM) e il DM n.82 (Docenze Infermieri).
I primi due sono l’esempio di come la nostra classe politica riduca la conoscenza delle professionalità operanti nel nostro SSN a Medici, Infermieri e pochi altri: vani i numerosi tentativi di sensibilizzare sull’argomento, bizzarro che si sia potuto mettere pezza solo con gli interventi normativi successivi. Il terzo provvedimento dimostra che in questo incoerente sistema non vengono risparmiati nemmeno i numerosi infermieri, il cui provvedimento, poi sanato dall’azione tempestiva della FNOPI, era teso a diminuire i docenti propri del profilo professionale di infermiere in favore di medici ospedalieri alimentando un’antitetica situazione di subordine.
Nelle riflessioni a cui il Covid-19 ci ha portato si è parlato molto di premi e di cambiamento. Sul primo punto considerando che ognuno di noi ha fatto semplicemente quello per cui ha sempre studiato il premio più grande non sarebbe altro che il giusto riconoscimento. Da anni si parla di contratti più dignitosi, di incentivare l’autonomia degli esercenti le professioni sanitarie, di investire in nuove competenze, di adottare modelli di medicina più moderni, etc.. Di queste la questione contrattuale è tra le più calde : l’ultimo rinnovo del 2018 è stato come un cucchiaio di acqua per un assetato nel deserto. In termini economici la retribuzione attuale non appare proporzionata a quanto si richiede per diventare ed essere un professionista della salute.
La questione dirigenze è un altro dei punti veramente critici: la percentuale dei professionisti con laurea magistrale in “scienze delle professioni sanitarie…” oggi impiegati come dirigenti è davvero bassissima, tra i pochi casi di glorioso coronamento annoveriamo per lo più infermieri. Nuovo contratto e dirigenza sono l’uno in funzione dell’altro: c’è bisogno di una riforma di legge chiara, puntuale e decisa, senza libere interpretazioni loco-regionali, che vada a definire l’obbligo per ogni azienda ospedaliera/sanitaria di prevedere un dirigente a capo delle 5 aree (infermieristica, tecnico diagnostica e assistenziale, riabilitativa e della prevenzione) soprattutto per poter sfruttare l’unico vero elemento di novità del CCNL Comparto Sanità 2018 ovvero il recepimento della 43/06 in merito agli incarichi di specialista: solo così avremmo nuovi modelli di assistenza e la valorizzazione di titoli conseguiti e rimasti a prendere polvere nei curricula.
Il professionista sanitario deve poter interfacciarsi con il corretto interlocutore durante la sua vita lavorativa: del resto se è impensabile che un medico abbia un dirigente tecnico di radiologia o che un infermiere sia diretto da un fisioterapista è altresì ovvio che non può nemmeno essere vero il contrario. Last but not least occorre la definitiva uscita dal comparto per tutte le professioni sanitarie come rivendicato già 2 anni fa dal movimento NoiSiamoPronti: le professioni sanitarie sono cresciute tutte nella formazione, nelle competenze e nella presa di responsabilità degli atti compiuti creando la necessità di una collocazione che per forza di cose non può più essere all’interno del comparto.
Parità di trattamento, in funzione delle competenze mobilitate, questa è l’unica richiesta che ogni professionista sanitario vorrebbe e dovrebbe pretendere: la stessa inquadratura contrattuale appare desueta e dai connotati di subordine comparando i “Coll. Prof.li Sanitari” ai dirigenti (di sé stessi?). Perciò potendo definire le priorità per le professioni sanitarie ex 251/00 il cambiamento passa attraverso un nuovo contratto fuori dal comparto e attraverso il definitivo sdoganamento dei dirigenti di area in forza, se necessario, di un provvedimento di legge chiaro e deciso.
Dott. Antonio Attanasio
Presidente CdA TSRM Cagliari Oristano
Vicepresidente Ordine TSRM-PSTRP CA/OR