Formazione infermieri. Dal Mur un decreto inaccettabile
Gentile Direttore,
quando ho letto la notizia dell’emanazione del decreto ministeriale n.82 del 14 maggio 2020 “Modifica requisiti di docenza lauree per Infermieridel Ministro all’Università sui media e i social il primo pensiero è che fosse la solita fake-news…possibile che il componente di un Governo che finalmente parla in forma paritaria di “medici e infermieri” e che introduce, finanziandolo, l’infermiere di famiglia/di comunità in tutto il territorio nazionale, emani un decreto che sia in contraddizione con tutta la normativa italiana ed europea sulla formazione infermieristica introducendo una supremazia medica sulla docenza che neanche nel periodo delle scuole regionali per infermieri professionali ante art. 6, comma 3, del dlgs 502/92 è mai esistita?
E che rintroduca il termine “medico ospedaliero” ripristinando una gerarchia anche tra i medici, il primato è l’ospedale, il territorio è marginale, in spregio della legge 833/78 e della lezione venuta dall’attuale epidemia che insegna che il diritto alla salute si attua bene e subito prima sul territorio e poi, nei casi estremi, in ospedale?
Questo tentativo revanscista, tra l’altro così sfacciatamente pacchiano, deve far riflettere Parlamento, Governo e Regioni che è il momento di affrontare la questione centrale e strategica di come e dove si formano le professioni sanitarie, ritornando ai principi dell’articolo 6 del dlgs 502/92 anzi sviluppandolo in forma sempre più progressiva.
Si tratta di ribadire che, senza nulla togliere al grado universitario della formazione di base e specialistica delle professioni sanitarie, la loro formazione non possa che avvenire laddove le professioni operano cioè il SSN con docenti, di norma, dipendenti dello stesso SSN e attraverso accordi tra Atenei e Regioni e quindi Aziende Sanitarie per la gestione concordata e tra pari dei corsi stessi…che poi tanto paritaria non è in quanto al SSN costa in termine di sedi formative e personale messo a disposizione senza gli introiti delle tasse universitarie.
Le professioni sanitarie sono una categoria speciale anche per la loro formazione che non ha eguali con le altre professioni, a parte le accademie militari…appunto come per la sicurezza anche la salute deve avere la sua specialità.
Negli anni ’80 due grandi medici, diversi politicamente Giovanni Berlinguer ed Eolo Parodi, teorizzavano le Scuole di Sanità per la formazione di tutte le professioni sanitarie, medici compresi, all’interno del SSN, sul modello della formazione infermieristica, pensiero, poi tradotto dal senatore Ferdinando Di Iorio, anche esso medico e professore universitario, in un disegno di legge, purtroppo non interamente ripreso nel dlgs517/92.
Ritornare a queste idee non mi pare tanto sbagliato, anzi quanto mai attuale…il che porterebbe anche all’effetto liberatorio per la stessa formazione specialistica post laurea medica e sanitaria che dovrebbe evolvere non più in borse di studio ma in un vera tipologia di contratto di formazione lavoro regolato da un accordo nazionale unico che regoli le modalità attuative specie sulla progressiva attuazione di competenze di autonomia professionale allo specializzando sulla base della verifica positiva delle conoscenze teoriche-pratiche acquisite.
Altrettanta tipologia di contratti di formazione lavoro le Aziende Sanitarie potrebbero stipulare con i neolaureati infermieri, ostetriche e delle professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione e della prevenzione trasformabili dopo tre anni in contratti a tempo indeterminato, come già prevedeva il CCNL ma raramente attuato.
Sogni di fine primavera? No se chi governa e chi legifera sia in grado di liberarsi dal complesso da parvenu di sudditanza all’Università e si ricordi che il Servizio Sanitario Nazionale esercita parimenti funzioni di prevenzione, cura e riabilitazione e allo stesso tempo effettua la ricerca scientifica biomedica ed attività di formazione e docenza, anche universitaria.
Saverio Proia