La Consulta delle professioni: un’occasione da non perdere
Negli ultimi giorni le associazioni mediche hanno dovuto affrontare alcune questioni tra loro correlate: la sentenza della Corte Costituzionale sul “caso Bologna”, la delibera veneta sulle “competenze avanzate” degli infermieri, la querelle sulla raccolta del consenso informato, infine l’insediamento, voluto dal Ministro, della Consulta delle Professioni Sanitarie.
Alcuni abituali commentatori, critici nei confronti del Ministro, riconoscono che, pur nella gravità della situazione generale, qualcosa comincia a muoversi nel senso giusto, come ha riconosciuto lo stesso Presidente della Fnomceo.
Tutti questi casi riguardano i rapporti tra i medici e le altre professioni sanitarie, per lo più gli infermieri, a causa di possibili o pretese invasioni di campo, di quello che i medici immaginano essere il loro terreno riservato. I medici, anche con decisioni incostituzionali come quella di Bologna, fanno pesare la differenza culturale tra professioni sanitarie la quale esiste, e non può essere messa in discussione, ma non autorizza a decidere insindacabilmente quali prestazioni possono svolgere gli altri professionisti.
Se la decisone dell’Ordine di Bologna, e non ci voleva la Corte per capirne l’infondatezza, e se le polemiche degli ultimi tempi mostrano una visione vecchia della professione, una sorta di senso di onnipotenza che la realtà si incarica di smascherare, la Consulta delle Professioni potrebbe essere l’occasione per mettere in pratica un approccio concreto alle vicende della sanità.
Nel Consiglio Sanitario della Toscana, di cui ero vicepresidente esecutivo, abbiamo già fatto questa esperienza con risultati ottimi. I provvedimenti adottati dalla Toscana tra il 2000 e il 2010 su problemi o percorsi assistenziali che necessitavano della collaborazione di molteplici professionalità sono stati predisposti su proposta dei medici e degli altri professionisti, mai della parte pubblica.
Per ogni problema si costituivano tavoli con tutti gli interessati e si discuteva fino a giungere alla proposta risolutiva. Ricordo che spesso si riunivano all’Ordine di Firenze i Presidenti toscani degli Ordini, Collegi e Associazioni delle professioni sanitarie per una discussione collegiale sui temi comuni. Ma il colloquio era sempre volto a casi concreti, fossero essi PDTA o problematiche formative. E ai medici era riservata la formazione di qualsiasi competenza avanzata.
Quando il confronto è su problemi concreti le competenze si collocano autonomamente al posto giusto senza invasioni di campo. Questo mi sembra il punto fondamentale anche per la Consulta ministeriale, partire dalla prassi quotidiana e non dalla pretesa teorizzazione delle discipline.
L’esperimento toscano seguita tuttora ma gli Ordini ne hanno perso il controllo per loro motivazioni interne, non per ostilità politica. Però il nuovo organismo professionale toscano prosegue nello stesso indirizzo e sono state definite altre funzioni esperte.
Il problema nodale di tutta questa vicenda è di vincere finalmente la battaglia (allora vi partecipai attivamente) per trasformare il SSN in uno strumento formativo. Ancora oggi siamo l’unico paese al mondo che assegna all’Università la profesionalizzazione post laurea. E’ chiaro, ma politicamente perdente, che il servizio sanitario è perfettamente in grado di professionalizzare i suoi operatori risolvendo d’incanto la questione della carenza di specialisti e la discrasia tra formazione universitaria e modello operativo del servizio. Questo è il punto nodale del lavoro della Consulta delle Professioni.
In un articolo recente qualcuno evocava le moderne visioni filosofiche del rapporto tra l’io e l’altro, questione che affatica il pensiero umano fin dall’antica Grecia. Ora, un tavolo professionale sui problemi concreti del servizio sanitario, non raffigura un incontro tra diverse etnie dai lontani costumi, una via di mezzo tra le invasioni barbariche e le guerre di religione. L’incontro tra medici, infermieri, tecnici e quant’altro non é altro che un confronto tra professionisti su come possa funzionare meglio la sanità, “far fiorire l’eccellenza delle cure”.
In un clima doveroso di collaborazione tra professionisti l’indispensabile integrazione operativa dovrebbe fondarsi su un tronco deontologico comune. Il principio è la collegialità e non ci sono porti da chiudere. Spetta ai medici svolgere un ruolo di massima responsabilità e primazia nella sanità. Tuttavia la cultura della sanità ha ormai molteplici fonti e poliedriche necessità gestionali e le scelte sono condizionate dai finanziamenti disponibili che non dipendono dai medici ma dai politici. Per questo la governance del sistema è un fatto complesso; la Consulta dovrebbe definirne i termini per valorizzare il ruolo dei professionisti.
L’auspicio è che la collaborazione porti ad affrontare i problemi organizzativi dell’assistenza, sia quelli dell’ospedale ormai orientato verso l’intensità di cura, sia quelli del territorio mediante presidi pluriprofessionali, sia quelli della comunicazione tra diversi settori del servizio in modo da garantirne il funzionamento unitario.