La “rivincita” dei piccoli ospedali nel riordino post-Covid
Gentile Direttore,
in molte Regioni italiane la trasformazione dei piccoli ospedali in ospedali di comunità non è ancora stata “digerita”. Occorre aggiungere che questa mancata digestione trova spesso motivazioni forti e condivisibili. Infatti, in molte situazioni è avvenuto che mentre la funzione ospedaliera i piccoli ospedali l’hanno persa, quella territoriale che dovevano sviluppare in termini di servizi ambulatoriali, residenziali e di cure intermedie non è cresciuta. Come non è cresciuto il territorio attorno in termini di potenziamento della assistenza domiciliare e delle attività di telemedicina.
In molte realtà (specie in quelle delle cosiddette aree interne) la percezione dei cittadini e dei Comitati cresciuti ovunque per la “difesa dell’ospedale” è che con quella che viene considerata la loro chiusura si sia determinata una situazione caratterizzata da Pronti Soccorso degli altri ospedali intasati; enormi difficoltà nella dimissione tempestiva e protetta dagli ospedali; continuo andirivieni di pazienti cronici e/o anziani tra domicilio/residenza/ospedale; costi sociali elevati per gli spostamenti verso le altre strutture; una forte pressione sul livello specialistico per una carenza nei percorsi proattivi per la presa in carico della cronicità; una sensazione di precarietà in comunità spesso già provate dalla crisi economica e dai suoi effetti.
A questa percezione ha dato ulteriore impulso il fatto che il processo di riconversione dei piccoli ospedali è avvenuto spesso al di fuori di un percorso di tipo progettuale in cui la comunicazione con le comunità doveva trovare adeguato spazio. Molto spesso si è data l’impressione che queste riconversioni fossero frutto di misure di razionalizzazione della spesa pubblica, prima della spending review del 2012 (che come dice la parola stessa aveva davvero forti motivazioni economiche) e poi del DM 70 che aveva ed ha finalità di razionalizzazione programmatoria, ma che è stato fatto spesso vivere a cittadini, professionisti ed operatori come vincolo posto dal livello centrale all’interno del sistema degli adempimenti. Insomma, qualcosa che si subisce e non che si utilizza come strumento di ridisegno del sistema dell’offerta.
E’ evidente che l’emergenza COVID adesso rimette in moto questi movimenti per la “riapertura” dei piccoli ospedali. L’adozione di misure di (s)fortuna come ospedali da campo (a volte più motivati da esigenze di immagine che non da forti esigenze organizzative) o addirittura di terapie intensive in Fiera ha comprensibilmente spinto in questa direzione. Se sei costretto a soluzioni così arrangiate perché non riqualifichi quello che hai dequalificato? La convinzione che le “chiusure” fossero state frutto di tagli e non di scelte è molto radicata e adesso che si sa che sulla sanità si torna ad investire quei tagli vengono rimessi in discussione. Questo sentire è particolarmente diffuso nelle aree più disagiate in cui in effetti il piccolo ospedale alcune risposte le dava, risposte che adesso non si danno più.
Di questa specifica, ma importante problematica, il Decreto Rilancio e la relativa circolare ministeriale con le linee di indirizzo sul riordino della rete ospedaliera non parlano. Come già ricordato in una mia precedente lettera, nel Decreto non viene mai nominato il DM 70/2015 che riporta i requisiti dei presidi ospedalieri in zone particolarmente disagiate e per gli altri piccoli ospedali conferma la trasformazione in ospedali di comunità. Così come ho ricordato le dichiarazioni del Presidente dell’Emilia-Romagna Stefano Bonacciniche rivalutano il ruolo dei piccoli ospedali alla luce della esperienza della epidemia.
La frase che segue sintetizza questa sorta di endorsement del Presidente sul ruolo dei piccoli ospedali “Ho detto dei piccoli ospedali e, in alcuni casi, della loro trasformazione in ospedali interamente convertiti al Covid. Molti, anche tra voi, mi hanno chiesto in queste settimane rassicurazioni circa il ritorno alla normalità, al fatto che quelle strutture non verranno depotenziate e impoverite di funzioni rispetto alle strutture maggiori. Non solo li vogliamo riconsegnare ai servizi di prima, ma abbiamo la conferma, una volta di più, che la forza della nostra rete è proprio la presenza di questi ospedali del territorio. Che come tali vanno anzi potenziati”.
Perché non ci siano equivoci data anche la autorevolezza della fonte credo che vada chiarito al più presto che il potenziamento di questi ospedali debba avvenire mantendone la natura di ospedali di comunità in accordo con le indicazioni del documento approvato dalla Conferenza Stato-Regioni proprio in coincidenza dell’inizio della epidemia.
E quindi si vada avanti con gli ospedali di comunità e non si torni indietro ai piccoli ospedali “di una volta”. Nelle linee di indirizzo sui servizi territoriali in applicazione del Decreto Rilancio sarà importante ribadire il ruolo degli ospedali di comunità nella rete territoriale, con un ruolo importante nella fase post-acuta della filiera Covid. Del resto è proprio questo il ruolo che alcuni ospedali di comunità hanno svolto con successo in alcune Regioni come l’Emilia-Romagna e le Marche.
Claudio M. Maffei
Coordinatore scientifico di Chronic-on