La sanità è implosa per mancanza di rete territoriale. Finalmente adesso se ne sono accorti tutti
A dicembre 2019, nel corso della conferenza Stato-Regioni, fu approvato il patto per la salute 2019-2021, che tra i punti preminenti prevedeva la riorganizzazione dell’assistenza territoriale con l’obiettivo di favorire, attraverso modelli organizzativi integrati, attività di prevenzione e promozione della salute, percorsi di presa in carico delle cronicità basati sulla medicina di iniziativa, in stretta collaborazione con il Piano nazionale cronicità, il Piano di governo delle liste di attesa e il Piano nazionale della prevenzione.
Al Presidente Conte, alla presenza del ministro Speranza, del Viceministro Sileri e del Sottosegretario Zampa, avevamo presentato un elenco degli obiettivi per noi prioritari in tema di sanità e salute, ed al primo posto c’era la riorganizzazione del territorio. E prima ancora, già durante il primo Governo Conte, al mio sguardo di medico prestato alla politica, il riassetto dell’assistenza sanitaria territoriale rappresentava uno dei punti su cui dovevano essere indirizzati gli sforzi in maniera prioritaria.
Per questo avevamo invocato il necessario potenziamento dell’assistenza domiciliare, residenziale e semiresidenziale per prendere in carico le patologie legate ai processi di invecchiamento e prevenirne l’aggravamento, interventi inseriti per l’appunto nel Patto per la salute. E proprio in questo ambito è stato anche previsto l’ampliamento della sperimentazione della Farmacia dei servizi, quale ulteriore snodo per migliorare l’aderenza terapeutica per le principali patologie croniche, per potenziare le attività di prevenzione, per effettuare test diagnostici a distanza, inserita poi in legge di bilancio.
E prima ancora che la pandemia aiutasse a superare alcuni tabù ed alcune resistenze, avevamo messo a fuoco il bisogno di valorizzare l’assistenza infermieristica di famiglia/comunità, per garantire la completa presa in carico integrata delle persone, nell’ambito della continuità dell’assistenza, e dell’aderenza terapeutica in particolare per i soggetti più fragili, depositando un disegno di legge in Senato, i cui contenuti sono stati in parte recepiti nel Decreto Rilancio.
Il recente “Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica” della Corte dei Conti, avvalora la bontà della nostra azione politica ed il nostro lavoro in Commissione Igiene e Sanità del Senato. Da tempi non sospetti, asseriamo che il Servizio Sanitario Nazionale è in sofferenza perché non si è posta la giusta attenzione nello sviluppo della sanità territoriale, anche in ragione della mancata implementazione di interventi e modelli già introdotti per norma, ma demandati a decreti attuativi ed a previsioni pattizie, che, salvo la lungimiranza di poche Regioni, hanno contribuito al mantenimento di un assetto ospedalo-centrico in larga parte del Paese.
Conseguentemente, in molte Regioni non si è investito a sufficienza nella strutturazione del territorio e nell’integrazione tra cure ospedaliere e cure primarie ed intermedie. Ma di contro, si è preferito dare spazio alla sanità privata accreditata, depauperando il pubblico.
Oggi il potenziamento della sanità territoriale è, finalmente, al centro dell’agenda politica ed ingenti sono le risorse che saranno destinate a tal fine nel Decreto Rilancio. Ma non si può pensare che tali risorse, peraltro ingenti, vengano riversate per consolidare un assetto della sanità territoriale che si è ampiamente dimostrato non all’altezza di espletare la funzione di filtro e di presa in carico del bisogno di salute espresso dalla popolazione.
Per realizzare un reale riordino dell’assistenza territoriale, bisogna sostenere la creazione di strutture dedite alla erogazione di cure primarie ed intermedie, razionalizzare, ristrutturare e mettere in sicurezza i presidi di continuità assistenziale, potenziare la dotazione di strutture residenziali extraospedaliere per malati cronici non autosufficienti, per disabili e per malati terminali, nonché di strutture di riabilitazione e di lungodegenza post-acuzie.
È di strategica importanza favorire il lavoro in team multidisciplinari e multiprofessionali, ricorrendo anche a strumenti di telemedicina. È necessario, altresì, superare il sistema della quota capitaria, implementando sistemi di misurazione delle performance che valorizzino il merito anche nel territorio. È, infine, venuto il momento che i dati clinici ed assistenziali generati nell’ambito dell’assistenza territoriale divengano patrimonio del SSN e dei ricercatori che operano nelle istituzioni di ricerca pubbliche.
Alcune di queste proposte avevamo provato a concretizzarle nell’ultima legge di bilancio, ma influenti lobbies professionali opposero resistenze al cambiamento. Eppure, quanto sarebbe servito in questa emergenza pandemica avere strumenti di telemedicina per monitorare i pazienti a domicilio?
Quanto la disponibilità nel territorio di strutture di cure primarie, di team multidisciplinari ed una assistenza domiciliare capillare avrebbero permesso di fare diagnosi più tempestive?
Ci riproveremo nel decreto rilancio, perché, come detto al Ministro Speranza, non permetteremo che gli ingenti fondi stanziati in questa emergenza vengano usati per consolidare assetti e modelli che, agli occhi di tutti, e certamente dei nostri, non hanno funzionato.
L’Italia ha pagato a caro prezzo la “voluta distrazione” che ha caratterizzato la politica italiana, con la concentrazione delle cure ospedaliere in grandi strutture specializzate e la mancanza di adeguate strutture e modelli organizzativi di assistenza territoriale, che facessero da filtro e riducessero drasticamente la mobilità dei pazienti infetti, il trasporto d’emergenza, l’arrivo nei nosocomi che sono diventati essi stessi focolai per la mancanza di dispositivi di protezione individuale e di percorsi COVID separati.
L’Italia ha pagato un caro prezzo anche per il non aver investito nella formazione medica e sanitaria, per il non aver saputo programmare il fabbisogno di professionalità mediche e sanitarie in base al bisogno di salute della popolazione ed al dato epidemiologico, per il non aver dato i giusti riconoscimenti ai professionisti in termini di progressione di carriera e di retribuzione, spingendo tanti talenti, giovani e non, a fuggire all’estero oppure a trovare rifugio nel settore privato.
Tutte queste criticità ci sono state ricordate, in varia forma, anche dalle recenti mobilitazioni messe in scena in numerose piazze italiane ad opera di migliaia di giovani medici. E Governo e Parlamento, oggi più che mai, sono chiamati ad una piena assunzione di responsabilità, che non potrà far registrare né tentennamenti né compromessi con quanti vogliano mantenere lo status quo, ma che dimostri d’altra parte la disponibilità della politica a saper ascoltare e recepire le istanze dei professionisti della salute.
Auspico che questa emergenza, che come ho ribadito più volte deve spingerci a scelte coraggiose, finalmente risvegli anche le coscienze di quella politica decisamente “distratta” e slegata dalla realtà, perché non possiamo attendere il prossimo evento disastroso per intervenire a riorganizzare quella ordinarietà che solitamente ci obnubila lo sguardo e ci fa “dimenticare”, quanto il diritto alla salute dei cittadini passi innanzitutto per la garanzia di accesso alle cure. Ai nostri occhi, che guardano attraverso chi ha vissuto in prima linea questa tragedia, è chiara la direzione da perseguire ed è su quella strada che stiamo camminando.
Sen. Maria Domenica Castellone (M5S)
Commissione Igiene e Senato