Le Case di Comunità non sono la soluzione ma Mmg e Farmacisti da soli neanche
Gentile Direttore,
ha ragione il responsabile della sanità di FdI a criticare lo standard di 1 Casa della Comunità (CdC) ogni 45-50mila abitanti; soluzione adatta alle aree urbane ad elevata densità ma non certo per i piccoli comuni delle zone rurali o della montagna, dove la MG continuerà ad essere un punto di riferimento per gli assistiti ivi residenti. Se si vuole realizzare concretamente una sanità di prossimità, adatta ai bisogni della popolazione, ai contesti geodemografici, orografici e alle risorse professionali disponibili conviene adottare una strategia incrementale a partire dall’esistente, più che una soluzione rigida, con un unico modulo calato top down su territori diversi per storia, risorse, contesti socioeconomici e culturali.
Strutture distribuite a pioggia in base a standard ragionieristici potrebbero rivelarsi le classiche cattedrali nel deserto sganciate dall’organizzazione territoriale esistente. I cittadini residenti in piccoli comuni disagiati o frazionati in vaste aree distante dalla Casa, dove risiede il 40% della popolazione, non potrebbero di fatto fruire dei servizi sociosanitari.
Inoltre ben difficilmente i MMG accetterebbero di lasciare i propri studi diffusi capillarmente, per confluire in una sorta di neo poliambulatori INAM. Con il rischio di costruire mega-strutture non di prossimità ma di distanza, di impianto burocratico, di difficile integrazione con la rete della MG e alle prese con problemi gestionali per carenza di figure professionali necessarie al pieno funzionamento, che mette a rischio il Pnrr come paventato dai Governatori regionali.
Ad onor del vero il DM77 prevede anche CdC spoke, ma non chiarisce con quali risorse si potranno realizzare, dato che i finanziamenti bastano per 1350 hub, mentre una rete Hub&Spoke capillare ne servono perlomeno il doppio. Malauguratamente 2 dei 4 miliardi destinati alle reti di prossimità dalla prima versione del Missione 6A sono stati spostati sull’assistenza domiciliare lasciando scoperte le “piccole” case della Comunità, fulcro della prossimità.
La progettazione razionale di una rete sociosanitaria deve tenere conto delle esperienze esistenti prevedendo strutture modulari diversificate e di crescente complessità. Paradossalmente un esponente di destra, criticando lo standard di 45mila abitanti del DM77, sembra sposare la soluzione adottata dalle amministrazioni rosse, ad esempio il network Hub&Spoke delle case della salute Emiliane a tre moduli: case piccole, in aree omogenee o in comuni con meno di 10-15 mila abitanti, medie per un bacino demografico di 15-30mila residenti e grandi nei comuni con più di 30mila abitanti o nei quartieri cittadini.
Se la diagnosi è corretta la soluzione alternativa proposta appare nebulosa e fragile in rapporto alle risorse disponibili e al processo di implementazione del PNRR. Non saranno certo Mmg solitari e Farmacisti a riempire il fossato scavato tra le CdC da 50mila abitanti e la gente sparsa nelle campagne e nella montagna. Con quali infrastrutture, organizzazione e governance medici parasubordinati e farmacie private o di grandi catene commerciali dovrebbero associarsi per colmare il vuoto lasciato dal mancato finanziamento delle CdC Spoke? La proposta così formulata è probabilmente il classico sasso gettato in piccionaia per marcare la discontinuità politica e vedere la reazione dei volatili.
Ma è soprattutto in relazione allo stato di avanzamento della missione 6A del PNRR, dopo la pubblicazione del DM77, che la proposta desta non poche perplessità. È perlomeno dubbio che si possa innestare la retromarcia viste le tappe già raggiunte dalla progettazione delle 1350 CdC, anche perché il regolamento del Piano prevede che “le modifiche devono essere motivate dall’impossibilità di realizzare in tutto o in parte il piano”, ad esempio per via del vertiginoso aumento delle materie prime, che potrebbero rendere necessaria una ristrutturazione finanziaria dell’intero NextGen per adeguare i progetti ai costi o prolungarne il termine.
Ogni Missione deve rispettare il cronoprogramma concordato, con scadenze intermedie e finali, ovvero obiettivi trimestrali (milestone) e traguardi (target), mentre le istituzioni europee effettuano una verifica sulla progressione dei lavori 2 volte all’anno. Fino ad ora sono stati sottoscritti i contratti istituzionali di sviluppo per la realizzazione delle strutture e i finanziamenti comunitari vengono erogati in base al rispetto degli step attuativi predefiniti. Dopo la tranche di aprile (24,3 miliardi) e di agosto di (24,9 miliardi) giusto il 27 settembre la Commissione ha approvato la valutazione preliminare per il versamento di ulteriori 21 miliardi nei prossimi mesi.
Insomma non sarà facile convincere la UE a rivedere di sana pianta la Missione 6A; l’aereo è decollato dopo aver superato il punto di non ritorno e per deviarlo su una rotta alternativa si rischia di rallentare se non di bloccare il viaggio. Ma ne vale davvero la pena, in una fase politica ed economica epocale a dir poco turbolenta?
Dott. Giuseppe Belleri
Ex MMG – Brescia
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