Per la Calabria la vera sfida per il neo presidente sarà uscire dal Commissariamento della sanità
Fonte quotidianosanità.it
Per governare la Regione Calabria occorrono i “muscoli” della legalità, della ragionevolezza, del bene comune, dell’esigibilità dei diritti e dell’affetto della collettività regionale, specie quella più debole. Quindi, tanto lavoro e qualche integratore, che non fa male! Specie nel dedicare la dovuta cura a ricostruire il Dipartimento regionale della sanità integrata e mettere a disposizione di tutta la burocrazia una formazione finalmente degna di questo nome
A meno di una settimana dalla elezione del Presidente della Regione Calabria, si avverte l’esigenza di sollecitare, ai contendenti l’oneroso scranno istituzionale, l’individuazione delle soluzioni per risolvere la penosa condizione della sanità calabrese. Un risultato di precarietà assoluta determinato dalla lunga durata del suo stato commissariale, ex art. 120, comma 2, della Costituzione.
Un commissariamento che non può continuare
La Calabria ha iniziato a vivere un siffatto dramma quattordici anni orsono. I primi due di protezione civile, a suo tempo disposto dal Governo per gli esempi omicidiari che produsse la malasanità di allora, con le morti di Federica Monteleone e Fabio Scutellà. Un tale commissariamento fu ovviamente disposto a causa degli insuccessi delle legislature precedenti al 2007, che hanno costituito un peggio ineguagliabile.
Per assicurare una ripartenza del welfare assistenziale a regime, e quindi garantire i Lea comprensivi dei Liveas così come preteso dalla Costituzione (art. 117, c. 2, lett. m), necessiterà pretendere la messa da parte del commissariamento ad acta a fronte, però, della formazione di una governance regionale che sappia il fatto suo e che sia capace di imporre e concretizzare le migliori soluzioni. Alla sua formazione dovrà ovviamente provvedere il/la Presidente che uscirà dalle urne, circondandosi dei necessari esperti ed evitando di fare inquinare le proprie politiche salutari, così come sempre avvenuto, da chi ha già in passato prodotto grandi disastri e contribuito, finanche da dirigente, a realizzare l’anzidetto peggio ineguagliabile.
I problemi da risolvere e le difficoltà da superare
Ovunque e da parte di chiunque si punta il dito sulla enormità del debito pregresso della sanità calabrese e sulla incapacità a rendicontarlo, con evidente ammissione di responsabilità esclusiva del Governo centrale che ha ivi preposto commissari ad acta incapaci ad adempiere, resisi responsabili di un suo consistente aggravamento. Un dato neppure rendicontato a differenza di come aveva invece prodotto il commissario di protezione civile, determinando un saldo a fine 2008 mai usato come iniziale del periodo successivo.
Il problema non è però solo il debito pregresso, consolidatosi nel tempo ma senza ancora un «nome», meglio un valore.
I bersagli cui dover puntare l’arco della soluzione
Le difficoltà cui rimediare afferiscono a tre temi di fondo.
Il primo è quello del personale occorrente, che dovrà essere certamente diverso, sotto il profilo delle qualità professionali previste, da quello programmato nel tempo, a causa dei cambiamenti e delle rinnovate esigenze dettate dal post COVID.
Quindi, bisognerà riconoscere il superamento degli organici attuali e promuovere nuovi concorsi, individuando le nuove figure professionali occorrenti, da impegnare soprattutto su un territorio abbandonato da Dio e dagli uomini, cui il SSR dovrà assicurare una assistenza sanitaria degna delle persone umane.
Il secondo, è quello di rendere sostenibile il bilancio di esercizio del SSR, che registra da anni disavanzi da favola dell’horror, di centinaia di milioni di euro.
Per fare questo, necessitano politiche di risanamento, spending review, taglio delle “regalie”, abbattimento degli oneri moratori. Ciò allo scopo di non appesantire, così come avviene, l’extra prelievo fiscale sui calabresi, con un residuo che va ad ingigantire annualmente il deficit patrimoniale.
Il terzo è perfettamente la continuità del primo e del secondo e riguarda il netto patrimoniale negativo determinatosi negli anni, ovverosia la differenza tra le attività e le passività, tutte da rivedere. Un risultato che pare avviato a rendicontare poco meno di 3 miliardi di euro al lordo del disavanzo 2020, nei confronti del quale esiste una sola soluzione, ben distante dalle frasi ad effetto che si sentono in giro sull’obbligo del Governo centrale a provvedervi.
Non così e chi lo afferma conosce poco la Costituzione e le leggi di riferimento.
L’unico modo per ripianare questa enorme massa debitoria, tutta ancora da rendicontare superando quel grave gap che il Servizio Sanitario Regionale presenta quanto ad a-professionalità e a-sistematicità, è quello di utilizzare gli strumenti costituzionali previsti dall’art. 119, 5° comma, e dalle sue leggi attuative, introduttive del federalismo fiscale.
Il tutto, finalizzato a rendere incondizionatamente esigibili i LEA, legislativamente incrementati da quelli di assistenza sociale (i LIVEAS), una “merce” sconosciuta alle nostre latitudini.
Insomma, per rimediare ad un siffatto handicap occorre una perequazione straordinaria, attraverso la quale lo Stato provveda ad anticipare la liquidità corrispondente attraverso la CDDPP, impegnandosi a versare alla medesima direttamente le restituzioni rateizzate nel primo decennio. Sarà poi compito della Regione continuare puntualmente ad onorare l’anticipazione goduta sino alla sua estinzione.
… e ancora cominciando dalla riforma strutturale
Vi è tanto altro da fare. Prioritariamente, la necessità di intervenire con una riforma strutturale del sistema della Salute, mai prodotta nella Regione se non con provvedimenti inutili e dannosi, facendo spesso riferimento a leggi nazionali abrogate da tempo.
Con la detta riforma strutturale tutto dovrà essere costruito intorno al territorio, quello che non è fatto solo di splendide coste bensì di quello vissuto da una consistente popolazione che sopravvive in altitudine, lasciata a patire finanche l’indicibile. Una popolazione numerosa, che popola il 32% dei Comuni calabresi.
Il territorio, il vero protagonista del cambiamento in melius
L’assistenza territoriale non è, come alcuni la considerano, il risultato del gioco del Monopoli. E’ ciò che viene costruito a seguito della accurata rilevazione dei fabbisogni epidemiologici e della redazione della mappa dei rischi. Un lavoro inevitabile, cui dovranno partecipare attivamente i Sindaci dei 400 comuni calabresi.
Di conseguenza, l’assistenza primaria e diffusa è il progetto che soddisfa i bisogni rilevati, costruendo un sistema di presidi territoriali che dovrà far fronte ad ogni necessità collettiva, riportando puntualità nell’esercizio delle diagnostiche di immagine, spesso salvavita, e facilitando l’accesso ai servizi più accentrati, con l’ausilio del trasporto assicurato ai disabili e agli anziani impossibilitati.
Il tutto dovrà avvenire con la collaborazione dei medici di famiglia, delle farmacie, dei consultori e dell’assistenza sociale che deve precedere e succedere ad ogni eventuale evento dannoso. Al riguardo, per la Calabria non saranno affatto sufficienti né l’idea delle Case di comunità, né tampoco le risorse assegnate ad esse dal PNRR (M6C1), atteso che con 7 miliardi per tutto il Paese si farà ben poca cosa.
Il livello essenziale di assistenza ospedaliera
Tutto questo non significa trascurare le condizioni della rete ospedaliera.
I presidi, siano essi hub o spoke, dovranno essere resi attrezzati di tutto punto con l’obiettivo di essere prioritariamente accreditati. E già perché in Calabria (ahinoi!) non lo sono, così come le strutture di erogazione privata vanno perlopiù vanno avanti con accreditamenti istituzionali scaduti da tempo e non rinnovati, a cause di decisioni arbitrarie e improvvide di una dirigenza regionale incapace e asservita.
Poi – è giusto dirlo per un calabrese che ama la sua terra – dovranno essere belli ed accoglienti nonché diventare espressione delle eccellenze medico-infermieristiche che posseggono. Gli stessi dovranno essere altresì protetti da ogni genere di inquinamento, assumendo la capacità di espellere dai loro corridoi ogni genere di prepotenze indebite, lasciate libere da troppo tempo a vegetare tra le corsie e i pronti soccorso, spesso arrivando a minacciare e picchiare gli eroi che vi lavorano.
Via questi Tavoli romani, non solo inutili
L’ultima, ma solo in ragione di tempo, cosa da sottolineare è cosa toccherà al Presidente mettere in piedi a seguito dell’esito dell’ultimo Tavolo Adduce del 22 luglio scorso, che boccia “a pieni voti” la gestione della Sanità calabrese. Un onere pressante per il nuovo Presidente, anche alla luce del passaggio di testimone alla Regione, concretizzato nella recente sentenza della Corte costituzionale n. 168/2021, cui viene ridato uno spazio enorme delle competenze da esercitare anche in persistenza del regime commissariale.
Sul contenuto del verbale redatto a valle dei lavori dell’anzidetto Tavolo, ci sarebbero tante cose da dire. Mi soffermo su ciò che vado dicendo e scrivendo da decenni! Che finalmente il Tavolo romano alza i coperchi che ha mantenuto per anni sulle pentole che contenevano l’andamento gestionale del nostro SSR e, di fatto, si autorimprovera e ammette le sue gravi e reiterate passate «dimenticanze».
Scoprire i bilanci non redatti, alcuni da ben oltre un quinquennio, i falsi in essi contenuti e l’incapacità della governance di nomina ministeriale significa confessare i propri “peccati”: la propria inettitudine, le gravi responsabilità assunte con inopportuni silenzi e l’aver creduto da dodici anni di risolvere il problema attraverso i compiti assegnati all’AGENAS e agli Advisor, che hanno rappresentato il più grave dei problemi a programmare come si sarebbe dovuto, non apportando soluzione al dramma che ha afflitto i calabresi.
E’ da ritenersi preoccupante l’accenno, deducibile nel verbale medesimo (pag. 18), a privilegiare da parte del Commissario ad acta l’insediamento di una gestione liquidatoria. Sembrerebbe (e sarebbe davvero grave) – oltre che una proposta da perfezionarsi ove mai in sede legislativa con quale giustificata riserva sulla incostituzionalità dell’assunto – la preparazione di una strategia occupazionale in favore delle solite griffe societarie della revisione, così come avvenne quando il Tavolo di allora si denominava Massicci e non Adduce. Da allora iniziò il disastro dell’oscurità dei conti delle aziende della salute calabresi e l’insediamento di pagamenti annuali milionari in favore degli advisor per fare non capisce cosa.
Un suggerimento al premier regionale
Dunque, un consiglio al/alla Presidente eletto/a: di andare in palestra!
Perché per governare la Regione Calabria occorrono i “muscoli” della legalità, della ragionevolezza, del bene comune, dell’esigibilità dei diritti e dell’affetto della collettività regionale, specie quella più debole.
Quindi, tanto lavoro e qualche integratore, che non fa male! Specie nel dedicare la dovuta cura a ricostruire il Dipartimento regionale della sanità integrata e mettere a disposizione di tutta la burocrazia una formazione finalmente degna di questo nome.
Ettore Jorio
Università della Calabria