Professioni sanitarie: è ora di una nuova riforma della formazione
Dopo oltre trent’anni dal loro passaggio alla formazione universitaria è quanto mai necessario e strategico intervenire nella formazione delle 22 professioni sanitarie regolate dalla legge 251/00 affinché siano adeguatamente in grado di rispondere ai nuovi come ai vecchi bisogni di salute tenuto conto del mutato quadro epidemiologico e demografico del Paese nonché alla conseguente modifica dell’organizzazione del lavoro nel SSN
Nel precedente articolo ho affrontato la questione della formazione delle professioni della salute soffermandomi in particolare sulla formazione post laurea.
Con questo nuovo articolo affronterò invece la questione della formazione delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche, della riabilitazione, della prevenzione e della professione di ostetrica.
Dopo oltre trent’anni dal loro passaggio alla formazione universitaria è quanto mai necessario e strategico intervenire nella formazione delle 22 professioni sanitarie regolate dalla legge 251/00 affinché siano adeguatamente in grado di rispondere ai nuovi come ai vecchi bisogni di salute tenuto conto del mutato quadro epidemiologico e demografico del Paese nonché alla conseguente modifica dell’organizzazione del lavoro nel SSN.
Il primo problema da affrontare è quello di archiviare l’attuale modello di formazione unico per l’insieme di queste professioni avendo il coraggio di affermare che sia necessaria una loro diversa articolazione che tenga realmente conto delle variegate specificità; in questo rientra anche la sfida sinora irrealizzata ma non impossibile di rivedere se alcune professioni posso essere unificate (l’esempio più semplice è audiometrista e audioprotesista) o considerarli una specializzazione ( come potrebbe evolvere l’infermiere pediatrico) e invece come possano rientrare in questa area professioni come l’odontotecnico e l’ottico-optometrista che stanno facendo anticamera da troppi decenni per evolvere da arti sanitarie a professioni sanitarie.
E’ stata certamente una stupenda stagione quelle delle ottime riforme del periodo 1992-2001 è, pero necessario il quadro formativo potenziando ed implementando la formazione e la ricerca nell’ambito delle professioni sanitarie, proseguendo nell’iter tracciato oltre 25 anni fa, distinguendole, per quello che è necessario e possibile dalle altre professioni biomediche.
La grande riforma che si ipotizza, dovrebbe, quindi confermare che la formazione universitaria del personale sanitario, ai sensi dell’art. 6 comma 3 del decreto legislativo 30 dicembre 1992 n. 502, avviene in nei servizi e presidii del Servizio Sanitario Nazionale in convenzione con le università, avvalendosi del personale docente sia universitario di ruolo che del personale delle Aziende Sanitarie; le strutture e i relativi servizi e presidii accreditati assumono la configurazione di presidii d’insegnamento professionalizzante e ricerca.
In considerazione dell’evoluzione scientifica e tecnologica, del quadro epidemiologico, delle innovazioni organizzative dei servizi sanitari e socio-sanitari e del conseguente avanzamento delle competenze professionali, al fine di favorire l’integrazione con i modelli formativi e professionali dell’Unione europea, il Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministro dell’università e della ricerca e il Ministro della salute, d’intesa con le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e sentite le rappresentanze professionali e sindacali, con proprio decreto prevederebbe, con cadenza triennale, a dettare principi per la verifica e per l’eventuale ridefinizione dell’offerta formativa accademica.
Questa formazione universitaria delle professioni sanitarie si articolerebbe in quattro livelli:
- corso di laurea abilitante, di durata triennale;
- corso di laurea magistrale, di durata biennale, volto all’acquisizione di competenze specialistiche avanzate scientifiche e organizzative di classe e ad approfondimenti specialistici da svolgere nell’ultimo anno di corso;
- master di primo livello
- master di secondo livello per il perfezionamento scientifico e l’alta formazione permanente e ricorrente e corsi di dottorato di ricerca.
I corsi di laurea magistrale, di durata biennale, organizzati per ciascuna delle classi di cui alla legge 10 agosto 2000 n. 251 dovrebbero essere rivolti all’acquisizione delle necessarie competenze, ulteriori e diverse da quelle acquisite dalla laurea abilitante, più complesse e specialistiche, anche organizzative riguardo alle professioni sanitarie della classe.
L’attività formativa dovrebbe prevedere nell’ultimo anno di corso specifici indirizzi specialistici, ad esempio: gestionale, didattico e ricerca, specialistico:
Quest’ultimo dovrebbe essere diversificato per i vari settori professionali, fermo restando che per le professione di infermiere e di ostetrica l’indirizzo specialistico dovrebbe prevedere almeno le seguenti aree specialistiche: cure primarie e di comunità; intensiva, emergenza e urgenza; medica; chirurgica; a neonatologica e pediatrica; salute mentale e delle dipendenze; salute della donna.
Mentre i master di primo e di secondo livello, rispettivamente per il perfezionamento scientifico e per l’alta formazione permanente e ricorrente, sarebbero rivolti all’acquisizione di ulteriore professionalità, in particolare riguardo al management generale delle professioni sanitarie; il master di secondo livello è titolo preferenziale per l’accesso alla direzione di unità organizzative complesse e di unità programmatiche nelle aziende sanitarie; nelle aziende ospedaliere-universitarie, negli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico e negli altri enti sanitari; a tale titolo preferenziale è equiparata la docenza universitaria di ruolo nello specifico settore scientifico-disciplinare.
Inoltre andrebbero previsti specifici corsi di dottorato di ricerca al fine di promuovere la formazione alla ricerca e alla didattica qualificata per gli specifici ambiti delle professioni sanitarie nell’ambito delle rispettive strutture formative.
Nell’immaginario collettivo di queste professioni, in particolare quella infermieristica, c’è il sogno che, come avviene in altri Stati, ci possa essere una propria Facoltà diversa e distinta da quella di Medicina per lo svolgimento dei propri corsi di laurea, i cui iscritti, tra l’altro, sono numericamente la stragrande maggioranza, mentre quelli del corso di laurea in medicina e chirurgia sono la minoranza.
Vista la modifica della legislazione universitaria questo sogno si potrebbe realizzare dando vita a Dipartimenti ad attività integrata didattica, di ricerca e assistenziale ed aree di coordinamento che andrebbero realizzati nelle sedi formative del SSN di questi corsi di laurea convenzionate con gli Atenei al fine di garantire unitarietà della gestione e alla migliore integrazione tra didattica, ricerca ed assistenza garantendo unitarietà, efficacia ed efficienza della gestione professionale sanitaria, anche mediante obiettivi e periodiche valutazioni, nonché prevedendo che la denominazione della Facoltà o Scuole o del Dipartimento ove sono collocati i corsi di laurea e i corsi di laurea magistrale delle professioni sanitarie dovrebbe prevedere anche la denominazione relativa alle specifiche professioni sanitarie.
Per concretizzare ulteriormente la specificità di questi corsi di laurea anche nella denominazione dei settori scientifico-disciplinare gli stessi e i correlati settori concorsuali e macrosettori alle classi delle professioni sanitarie dovrebbero essere innovati dando vita a specifici settori scientifico-disciplinari per ciascuna classe delle professioni sanitarie secondo le denominazioni della Legge 10 agosto 2000 n. 251.
Giustamente in questi corsi di laurea si lamenta e si denuncia la scarsa e ridottissima presenza di docenti dipendenti dagli Atenei per le materie professionalizzanti espressione diretta delle professioni oggetto del corso di laurea e se ne rivendica l’ampliamento numerico, richiesta quanto mai condivisibile ed opportuna; tuttavia sarebbe parimenti altrettanto necessario valorizzare adeguatamente, sia normativamente che economicamente, le migliaia di docenti dipendenti del SSN che garantiscono da decenni il funzionamento dei corsi di laurea di queste professioni.
Si tratta per quest’ultimo aspetto di una riforma che non costando nulla ha, invece, un grande resa non soli in termine di consensi ma anche di modernizzazione del sistema prevedendo la riforma ; tra questi risalta la questione relativa allo stato giuridico dei docenti, dipendenti di Aziende o Istituzioni del Servizio Sanitario Nazionale, dei corsi di laurea delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche, della riabilitazione, della prevenzione nonché della professione di ostetrica, ma in analogia potrebbe essere esteso anche alle altre professioni sanitarie.
Sarebbe, quindi, opportuno dar vita ad una normativa che realizzi le condizioni per le quali ai professionisti coinvolti nel tutorato professionale a tempo pieno ed ai docenti in organico nelle Aziende Sanitarie siano riconosciuti non solo gli stessi doveri ma anche i medesimi diritti dei docenti dipendenti dagli Atenei al fine di garantire dignità, stabilità e continuità nell’incarico loro attribuito di docenza, secondo le seguenti linee portanti:
- ferma restando l’attuale modalità di reclutamento in ambito accademico dei professori appartenenti alle professioni sanitarie, andrebbe disciplinato lo stato giuridico dei destinatari degli incarichi di insegnamento nelle attività di didattica delle professioni sanitarie al fine di valorizzare il ruolo dei docenti di cui all’articolo 6, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n 502 e successive modificazioni ed integrazioni al fine di contenere i costi dei relativi corsi di studio universitario;
- nei corsi di studio universitari delle professioni sanitarie attivati presso le Aziende sanitarie, gli Ircss e le strutture private accreditate le attività formative andrebbero assicurate da docenti dipendenti dagli Atenei e da docenti dipendenti dal SSN; questi ultimi, in deroga alla normativa vigente al fine di contenere i costi di tali corsi di studio universitari e per valorizzare l’attività di didattica del Servizio Sanitario Nazionale e dei suoi dipendenti, costituirebbe la norma di affidamento d’incarico d’insegnamento, in particolare nelle discipline professionalizzanti;
- nei corsi di studio universitari delle professioni sanitarie i responsabili delle attività di tirocinio andrebbero scelti fra i docenti, con il più elevato grado formativo, delle discipline delle professioni relative al corso di laurea; i docenti dipendenti dal SSN parteciperebbero ai consigli di corso di studio con gli stessi diritti e medesimi doveri dei docenti universitari e con una propria rappresentanza al consiglio di facoltà, secondo quanto previsto dagli statuti delle singole università e potendo partecipare alle attività di ricerca in collaborazione con i dipartimenti universitari afferenti il settore scientifico – disciplinare di competenza e per obiettivi specifici;
- i consigli dei corsi di studio delle professioni sanitarie, in base ai posti di insegnamento disponibili secondo gli ordinamenti didattici ed i protocolli d’intesa tra regioni ed università, dovrebbero comunicare al consiglio di facoltà le esigenze di copertura dei settori scientifici – disciplinari;
- l’incarico di docente dipendente dal SSN abbia durata triennale e sia attribuito dal consiglio del corso di studio in base alla valutazione dell’attività didattica e scientifica documentata dal Curriculum e riferita alla professione del docente e alla disciplina messa a concorso nello specifico corso di laurea;
- al termine del triennio, l’incarico sia attribuito con nuovo bando e con le stesse modalità svolte in precedenza, tenendo conto del rispetto della continuità didattica e della valorizzazione della pregressa attività; spetterebbe al consiglio di facoltà il coordinamento generale sull’attività di attribuzione, confermare o revocare l’affidamento dell’insegnamento da parte dei consigli di corsi di laurea, nonché l’esame dei ricorsi avverso le relative decisioni;
- la contrattazione collettiva nazionale definirebbero criteri e modalità per l’attribuzione di specifico incarico e conseguente graduazione dello stesso dei docenti aziendali di cui alla presente legge, che siano esclusivamente dedicati all’attività didattica.
La grande riforma di cui scrivo per queste professioni dovrebbe con coraggio affrontare e risolvere due altre questioni che normativamente ed economicamente differenziano ancora queste professioni sanitarie dalle altre tutelate dagli articoli 15 e seguenti del dlgs 502/92 inserite nella dirigenza medica e sanitaria: il diritto ad avere un incarico professionale o gestionale e la questione del rapporto di esclusività e dell’esercizio della libera professionale.
Sulla prima questione la contrattazione ha, per la prima volta dopo decenni, conquistato questo risultato storico, tutto, ovviamente da realizzare concretamente nelle aziende sanitarie, nel merito ho già scritto su questo quotidiano con estrema soddisfazione si tratta però di garantire anche con una modifica legislativa che questi come per la dirigenza sia un diritto per legge e non affidato alla sola contrattazione e cioè estendendo per analogia, adattandolo allo specifico, quanto previsto dagli articoli 15 e seguenti del dlgs 502/92.
Si tratterebbe di prevedere che per il personale appartenente alle professioni sanitarie infermieristiche tecniche, della riabilitazione, della prevenzione, nonché della professione ostetrica, dipendente di aziende ed enti del Servizio sanitario nazionale:
- in relazione alle diverse responsabilità professionali e gestionali, sulla base delle scelte di programmazione regionale, la contrattazione collettiva nazionale, debba prevedere criteri generali per la graduazione delle funzioni professionali, gestionali, didattiche e di ricerca, nonché per l’assegnazione, la valutazione e la verifica degli incarichi e per l’attribuzione del relativo trattamento economico accessorio correlato alle funzioni attribuite e alle connesse responsabilità del risultato;
- l’attività di tali professionisti verrebbe svolta con autonomia tecnico-professionale i cui ambiti di esercizio, a seguito di valutazione e verifica, sarebbero progressivamente ampliati e implementati, anche in conformità alle scelte strategiche di programmazione nazionale e regionale e nel rispetto delle norme stabilite dalla contrattazione collettiva nazionale;
- l’autonomia tecnico-professionale, con le connesse responsabilità, sarebbe esercitata nel rispetto della collaborazione interprofessionale, nell’ambito di indirizzi operativi e programmi di attività promossi, valutati e verificati a livello dipartimentale e aziendale, finalizzati all’efficace utilizzo delle risorse e all’erogazione di prestazioni appropriate e di qualità nonché che il professionista sanitario, in relazione all’attività svolta, ai programmi concordati da realizzare e alle specifiche funzioni allo stesso attribuite, risulterebbe personalmente responsabile del risultato;
- all’atto della prima assunzione, al professionista sanitario sarebbero affidati compiti professionali con precisi ambiti di autonomia da esercitare nel rispetto degli indirizzi definiti dal responsabile della struttura e sarebbero attribuite funzioni di collaborazione e corresponsabilità nella gestione delle attività, superato il periodo di prova, al professionista sanitario sarebbe conferito un incarico professionale di base in relazione al programma di attività finalizzato al raggiungimento degli obiettivi prefissati e al perfezionamento delle competenze tecnico-professionali e gestionali riferite alla struttura di appartenenza;
- sarebbero attribuite, in relazione alla natura e alle caratteristiche dei programmi da realizzare, alle attitudini e capacità professionali acquisite dal singolo professionista, dopo il superamento di cinque anni di attività con valutazione positiva, al professionista sanitario funzioni di natura professionale più elevate prevedendo, anche, l’attribuzione di incarichi di alta specializzazione, di consulenza, di studio e di ricerca, ispettivi, di verifica e di controllo, incarichi gestionali, didattici e di ricerca, nonché incarichi gestionali di valenza dipartimentale;
- al professionista sanitario al quale sarebbe stato attribuito uno degli incarichi sopradescritti sarebbe sottoposto a verifica, sulla base della vigente normativa legislativa e contrattuale per quanto atterrebbe alle attività professionali svolte e ai risultati raggiunti, nonché al livello di partecipazione, con esito positivo, ai programmi di formazione continua, l’esito positivo delle verifiche costituisce condizione per la conferma nell’incarico o per il conferimento di altro incarico, professionale o gestionale, didattico e di ricerca, anche di maggior rilievo;
- ai professionisti sanitari con incarico gestionale sarebbero attribuite, oltre a quelle derivanti dalle specifiche competenze professionali, funzioni di organizzazione della struttura, da attuare nell’ambito degli indirizzi operativi e gestionali del dipartimento di appartenenza, finalizzate al corretto espletamento del servizio e l’appropriatezza degli interventi con finalità preventive, diagnostiche, terapeutiche e riabilitative, con diretta responsabilità in relazione alla efficace ed efficiente gestione delle risorse attribuite;
Come si può dedurne da un esame anche superficiale della proposta si tende ad accentuare la omogeneizzazione normativa con le altre professioni sanitarie, compresa quella medica, che nel SSN sono inquadrate nella dirigenza medico e sanitaria, non riscontrando più motivi di diversificazione constatando l’avvenuta e consolidata evoluzione ordinamentale e formativa delle professioni sanitarie di cui alla legge 251/00, analogamente, bisognerebbe operare per l’esclusività e la libera professione che certamente non può essere limitata alla mancia delle otto ore riconosciuta dal recente “multiproroghe” concessa a domanda e sottoposta ad autorizzazione ma il medesimo diritto che hanno le altre professioni sanitarie della dirigenza come più volte ho scritto e non vorrei tediare il lettore ulteriormente.
Saverio Proia